Ho cercato Esercizi di meraviglia appena uscito. Mi chiamava la curiosità per Vittoria Baruffaldi – una mamma filosofa, merce preziosa –, la copertina di Roberta Maddalena, illustratrice che disegna danzando (la ammiro da anni), il sapore frizzante di fuga in Italia – un punto di vista a cui mi sto piacevolmente abituando (siamo emigrati e io viaggio per il mio paese più spesso di prima) –, il gusto piccante della trasgressione – senza famiglia, come una turista, in libreria a comprarmi un libro di carta solo perché mi va.
Così ho affrontato con leggerezza la lettura di questo grazioso librino, e accipicchia se avevo fatto male i conti.
La poesia delle prime pagine mi ha presa per mano e io l’ho seguita fiduciosa. Così alla prima lettura mi sono trovata sballottata tra senso di inadeguatezza e reminiscenze del liceo – eppure ho sempre studiato un po’ di filosofia qua e là, fino al dottorato, sicuramente troppa per fare l’architetto.
Il primo disagio non era dato da un mio difetto di conoscenza. Sono solo inciampata nella distanza dal mio modo di essere genitore.
Io sono entrata nella maternità da subito in maniera viscerale. Non l’ho proprio scelto, è stato così, molto presto, molto tutto, tanta paura, sfortuna, sangue, dolore, lutto, perdita, solitudine, poi attesa, speranza, gioia, ansia, pienezza, potenza, fiducia, ancora sangue, ma anche latte, cacca, strilli, stanchezza, solitudine senza poter essere mai sola, e via di nuovo per quattro volte, ciascuna con meno paura, più pienezza, grande forza e molte vite da organizzare.
Non posso dire mi sia mancato un centro – loro tre prima di tutto – o una direzione – la ricerca di un senso al di là della mia singola esperienza – ma ora sento che mi è mancato un orizzonte: marciando a testa bassa con i miei tre paperottoli al seguito, ho tenuto lo sguardo fisso al terreno accidentato su cui mettere i piedi.
Così, se al primo incontro le parole di Vittoria Baruffaldi mi sono sembrate cerebrali, alla seconda lettura mi hanno regalato l’orizzonte.
La mia ricerca di un valore civile per il lavoro di cura diventa il valore filosofico della maternità: ancora meglio che civile, universale.
Le 130 pagine di questa mamma che con una figlia sola ha avuto il tempo e la bravura di pensare, scegliere le parole, levigare il linguaggio fino a dargli la delicatezza di un respiro, sono un soffio di vento che fa alzare lo sguardo verso l’infinito.
Ecco il senso che va al di là, la paura non è più solo mia, ma
tutti siamo nati gemelli alla paura… la paura è in noi nel nostro modo di stare emotivamente nel mondo.
E un bel modo di accogliere le emozioni, perché
la filosofia non cancella le emozioni, le tiene in braccio, le capisce, ha il coraggio di passare del tempo sola con loro.
Ed ecco che finalmente con un libro di carta e una matita in mano ritrovo l’orizzonte del mio essere qui, straniera in mezzo ai monti, ma a casa con i miei cari. Sollevo finalmente lo sguardo e mi scopro al centro.
E capisco anche il mio desiderio di fare squadra, l’urgenza di fare di Faccio Quello Che Posso un luogo
dell’incontro con l’altro, che è sempre un urto: se siamo disposti ad accettarlo, ci dirà qualcosa che confermerà i nostri pregiudizi o, più probabilmente, li rovescerà costringendoci a modificarli.
Grazie Vittoria, se come scrivi,
una raccolta di casi particolari risulta sempre insufficiente per poter formulare una teoria universale e… non si ha alcuna verità ma un processo di avvicinamento alla verità …le teorie dei manuali non funzionano, deludono, diventano problemi, perché insieme possiamo solo imparare a sbagliare.
Ora Faccio Quello Che Posso ha una direzione più chiara e io vado avanti con un orizzonte più ampio, verso l’infinito e oltre.
giulia glarey
mi incuriosisce molto, voglio leggerlo, grazie per il suggerimento!
Alessandra Spada
Grazie Giulia, poi ci dirai. a presto. A.