Ieri il mio bambino è andato in posta.
Doveva compiere una missione importante e ha voluto farlo da solo.
La sera prima aveva fatto gli auguri in video al suo amico L. che compie otto anni e aveva scoperto che anche lui fa l’album degli europei.
Un anno fa proprio mentre noi traslocavamo qui, L. e la sua famiglia si trasferivano dall’altro capo dell’arco alpino.
Così questi due settenni emigrati hanno coltivato un’amicizia a distanza fatta di qualche fine settimana insieme in Italia, ché dalla Svizzera all’Austria si fa prima a passare dalla Pianura Padana. E di lunghe chiacchierate via Skype in cui si sono fatti le boccacce, esibiti in dimostrazioni musicali, condiviso le fatiche scolastiche, ma soprattutto raccontati le proprie prodezze in campo.
Quasi ogni settimana come due pensionati al bar, hanno commentato azioni e gol, attacco, difesa, e formazioni delle loro rispettive squadre.
Perché il calcio da piccoli è una passione che unisce.
L’album delle figurine a questo punto – dopo aver scoperto che non solo è uguale in Svizzera e in Italia, ma arriva anche in Austria- è diventato un oggetto magico, capace di colmare distanze infinite e unire mondi. La tecnologia poi ha permesso loro di fare celo-manca a più di seicento chilometri di distanza.
– Sei contento che adesso puoi fare l’album con L. come l’anno scorso?
– Sì però non va bene, lui ha cominciato da troppo poco, quindi io devo stare qualche giorno senza pacchetti altrimenti non è valido, non mi può raggiungere.
– Ma forse potete lo stesso scambiare le figu?
Così ieri abbiamo preparato una busta con mittente e destinatario, che sommati non arrivano alla maggiore età, e ci abbiamo messo dentro le preziosissime doppie selezionate in videoconferenza, anche quelle svizzere, uniche in Europa con la cornice argentata, uno stringato biglietto d’auguri in italiano almeno non perdiamo l’abitudine, e una richiesta per l’introvabile coppa in prima pagina, si sa mai che in Austria si trovi di più.
In attesa che aprisse la posta ho appoggiato soldi e busta in ingresso, contando di spedirla accompagnandolo a calcio.
h. 16.00:
– Mamma, io vado.
– Ah, e dove?
– Alla posta.
– Ah, e ci vai da solo?
– Sì.
A quel punto c’è stato quello scambio di sguardi magico mamma-figlio, un po’ mezzogiorno di fuoco, un po’: se mi dici di no sono anche sollevato, perché in effetti ho un po’ fifa…
E in quella frazione di secondo ho sentito due cose:
Primo che anche questo figlio è grande. Con un tuffo al cuore ho dovuto riconoscere quello che ho sempre saputo: questo terzogenito ha fatto sempre tutto più in fretta, e i suoi capricci per mangiare o lavarsi sono labili tentativi di mantenere la posizione di più piccolo, in realtà sarà pronto a partire ben prima dei suoi fratelli, e mi mancherà da matti. E non ce ne saranno dopo di lui.
Secondo che posso rasserenarmi nella mia paura di sradicarlo, che si ritrovi a non saper scrivere la sua lingua, a sentirsi diverso.
Questo ragazzino è già cittadino del mondo.
In un anno di vita in campagna ha imparato ad andare in giro da solo, a parlare in un’altra lingua, a stringere la mano agli avversari a fine partita, ma anche che in amicizia le distanze contano fino a un certo punto, perché di sicuro è importante il vicino di banco, ma se qualcuno è vicino al cuore ci sono mille modi di farglielo sapere, anche se abita molto lontano.
Quando è tornato dalla posta camminava a un metro da terra, era talmente fiero che si era dimenticato di comprare col resto il pacchetto di figu, e aveva incontrato un compagno di squadra che lo aveva invitato a fare due tiri prima di andare all’allenamento, da soli.