A noi le cose normali non vengono bene.
Col tempo me sono fatta una ragione e ho cominciato a pensare che la normalità non esista, che ciascuno ne abbia una propria.
Ho accettato che la nostra sia piuttosto bizzarra, ma senza dubbio piena di fortune, e ho cercato di viverci dentro al meglio, il segreto è limitare al minimo le domande, cosa per me difficilissima.
La cosa forse più importante che ho imparato sulla mia pelle, è che i momenti più difficili possono essere la porta per mondi inattesi e pieni di belle sorprese.
Quando siamo partiti un anno e mezzo fa, ero sconfitta, umiliata e spaventata per ciò che il futuro mi avrebbe riservato.
Ho lasciato la mia casa, il mio quartiere, gli amici, il mio studio che oltre a darmi l’effimera certezza di avere un lavoro, (chi fa l’architetto oggi in Italia sa quanto sia precaria la situazione), mi garantiva uno spazio tutto mio su cui chiudere una porta a difesa dal mondo.
Tutto questo era gran parte della mia identità, mi corrispondeva, mi faceva sentire chiaramente quale era il mio posto nel mondo.
Avevo le radici ben piantate in terra.
Ho lasciato tutto questo, e ho vissuto il primo anno in stato di choc.
Lo ha detto mio marito l’altra sera a cena, parlando con amici, così come fosse chiaro: “lei l’anno scorso era in stato di choc”
Sentirlo dire mi ha fatto capire quanto fosse vero. Ma anche per fortuna, quante cose siano cambiate.
Quanto io abbia imparato a sbrigarmerla in questo villaggio che sembra davvero Wisteria Lane. Quanto la nostalgia si curi tornando spesso a casa e vedendo un sacco di amici. E come la nostra bizzarra normalità si sia assestata anche qui, almeno per un po’.
Pezzo fondamentale di tale bizzarra normalità è Monsieur B., che non è mio marito, come qualcuno ha pensato. Ma il nostro arcibizzarro padrone di casa.
Il signore ha un’età indefinita tra i sessanta e gli ottanta, entrambi ben portati.
Alto, snello, col viso rugoso di chi fa vita all’aperto, non l’ho mai visto vestito d’altro che d’una camicia a scacchi e pantaloni da lavoro.
Maneggia con disinvoltura ogni genere di attrezzo da giardino, con particolare predilezione per la motosega, con cui affetta ferocemente il platano di fronte alla nostra finestra.
Con la sua scala a pioli sale e scende di continuo da tetti e alberi intorno alla piazza, che peraltro è mezza sua.
Perché Monsieur B. è di una delle più antiche famiglie del villaggio, e ha ereditato una gran quantità di terreni e case, che gli hanno permesso di non lavorare un giorno in vita sua.
Ha negli anni venduto quello che poteva dare frutti e si è tenuto tutto quello che poteva affittare, sottoscale compresi.
Oltre a non lavorare, si concede lunghi periodi all’estero. In inverno passa spesso un mese o due in Marocco, dove si dice abbia una moglie, ma adesso è in Brasile da quattro settimane, durante le quali mi ha telefonato più volte per verificare che mi avessero aggiustato lo scaldabagno.
Il signor B. appartiene alla Svizzera contadina della prima ora, quella in cui contavano la terra e le bestie, e le donne non avevano diritto di voto, figurarsi d’opinione.
Con me è sempre stato gentile, di una galanteria di altri tempi. Ma proprio non riesce a concepire che io abbia dei pensieri autonomi, figurarsi una laurea e una professione.
Nell’ultimo anno avevo tentato mille volte di fargli capire che cercavamo una stanza a buon mercato, più vicino possibile a casa. Ma era come parlare al muro.
Fino a che il mese scorso mio marito lo ha incrociato in piazza e son bastate due parole per far saltare fuori due piccole stanze piene di luce,
che ha sottratto a casa sua, per dare a noi.
Il pavimento è di larghe assi di rovere non verniciato, qualcosa che qui costa uno stipendio al metro quadro, le porte sono in quercia massiccia.
E così grazie a poche parole in un parcheggio io ho una stanza più bella di ogni sogno.
Ho passato un fine settimana tra ikea e mercatino della Croce Blu e ora la mia stanza è lì, quasi arredata, in tutto il suo splendore.
Stamattina la cooperativa di inserimento lavorativo di persone disagiate mi consegna un meraviglio tavolino da cucina anni sessanta, già mi vedo scrivere sulla formica azzurra, un vecchio armadio che abbiamo regalato a mio figlio grande e una scrivania per quello piccolo.
I miei colori sono già lì nei cassetti, i libri nella libreria.
Mancano solo due piccoli dettagli:
Monsieur B. quando parte per i tropici stacca il riscaldamento e noi siamo collegati a lui.
I muri sono spessi 1 metro, e non ho ancora trovato un ripetitore wifi che penetri la roccia.
Penso quindi che proverò a disegnare al gelo, forse dei mangiatori di patate come Van Gogh, e mi troverò una bizzarra normalità senza computer, con il riscaldamento che va quando il padrone di casa non è ai tropici.