Ai tempi del nostro fulmineo fidanzamento, mio marito mi aveva conquistata cucinando manicaretti.
C’erano state sì romantiche cenette in trattoria, e un inaspettato weekend a Nizza.
Ma era stato vedere quel giovane uomo che si muoveva con soddisfazione nella sua grande cucina, producendo indimenticabili spaghetti agli scampi, che mi era sembrato di buon auspicio.
Guardarlo mi diceva dei suoi anni all’estero, di uno che se la sapeva cavare, che amava mangiar bene e farlo a casa, che era tornato in Italia, perché era lì che voleva mettere radici, e si era fatto una casa con una bella cucina.
Tutto questo a me parlava di famiglia.
Dopo due mesi dalla prima cena, abbiamo deciso di sposarci.
O meglio, lui mi ha regalato dei bicchieri blu, e mi ha proposto di far loro spazio nella sua bella cucina.
E io non ho chiesto altro.
Non abbiamo parlato di tutto quello che sta tra dei deliziosi spaghetti con gli scampi per due, e lo scodellare a ritmo continuo passati di verdura e carote grattuggiate per molti anni, e nel farlo sempre quando l’orologio degli amici segna ancora l’happy hour.
Non so neanche bene come, ma la parte delle pappine e pasta all’olio è rimasta a me per tanto tempo, riuscendo quasi a far appassire l’amore per la cucina ereditato da mia nonna.
Ho iniziato le rimostranze, ho minacciato scioperi, riuscendo faticosamente a riportare il mio consorte ai fornelli almeno una volta alla settimana. Ma ho visto solo qualche barlume di quel giovane nella sua grande cucina.
Finché settimana scorsa è impazzito l’albero del nostro giardino, e da un giorno all’altro si è riempito esageratamente di ciligie, tutte mature allo stesso momento.
L’anno scorso eravamo tutti presi dalla prima estate con giardino, e quando erano spuntati i primi frutti l’entusiasmo avevamo soprasseduto sulla oggettiva cattiveria di quelle bacche striminzite e amarognole. Avevamo raccolto con gioia all’inizio e lasciato anche parecchio agli uccellini alla fine.
Il pater familias invece si era tutto d’un colpo tramutato nell’orso Yoghi e quando rientrava in bici dal lavoro non entrava neanche in casa, si dirigeva direttamente all’albero dove si abbuffava, di ciliegie prima, di susine e fichi poi, fino al mal di pancia. Un istinto territoriale si era impossessato di lui:
– Chi ha mangiato quel fico?
– Ma quale? Ce ne sono centocinquanta.
– No quello lì era il più grosso, me lo curavo da giorni perché fosse maturo al punto giusto.
I ragazzi assistevano divertiti a questa inattesa metamorfosi del loro genitore, in fondo era il primo anno che abitavamo insieme davvero, e scoprire di essere i figli dell’orso Yoghi era divertente.
Ma il meglio doveva ancora venire.
Quest’anno il raccolto è abbondante, saporito, sugoso, non ha le dimensioni delle ciliegie italiane, ma davvero è un peccato non riuscire a mangiarle tutte. Ma a questo pensa l’orso Yoghi trasformato nel signore delle ciligie.
– Non ce la faremo mai a mangiarle tutte, dobbiamo fare la marmellata!
– Ottimo, mia nonna però le snocciolava una a una, io propogo di provare a passarle una volta cotte, oppure di fare lo sciroppo, o le ciliegie sotto spirito.
– Ma cosa ci vuole a snocciolarle a mano. Disse l’impavido
Ce li abbiamo i barattoli?
– Direi che per un primo esperimento dovremmo averne da riciclare.
Sabato mattina alle sei ho sentito un tramestio, ma mi sono guardata bene dallo svegliarmi. Alle 8,30 sono entrata in cucina e ho trovato il pater familias con le mani insanginate.
–Ho ammazzato il gatto!
Per fortuna il gatto mi si strusciava sulle gambe aspettando la colazione.
La cucina invece sembrava davvero la scena di un delitto. Ogni superficie era ricoperta di spruzzi di sugo vermiglio, compresi i muri candidi di Monsieur B.
Il colpevole indossava un camicione anch’esso completamente macchiato di rosso e aveva gli occhi posseduti da un nuovo fervore. Al centro del tavolo una scodella di plastica col misero risultato di un tale eccidio.
–Devo trovare un sistema più efficiente.
– Mmh, dici?
–Sì, così si spreca troppo sugo.
–Ah, sì?
–Sì, mi serve lo snocciolatore.
–Ah, capisco, se ci serve. Ma magari proviamo a vedere come viene questo primo giro e quanto dura, perché ho l’impressione che qui in Svizzera lo snocciolatore costi un patrimonio e davvero non sappiamo dove metterlo per il resto dell’anno.
–E poi i barattoli riciclati non vanno bene, non vanno sottovuoto!
– Beh oggi dobbiamo andare in cerca della porta da calcio, cercheremo anche i barattoli.
– Ah sì in Francia li troveremo di sicuro. Intanto le metto a riposare con la scorza di limone.
–Bene, mettile a riposare.
Così abbiamo passato la frontiera con un carico di preziosi barattoli, forse visto il costo, erano usati per stivare il caviale.
La domenica mattina in cucina si ripresentava la stessa scena del sabato. In giardino la scala sotto l’albero. Se Monsieur B ci darà lo sfratto, i prossimi inquilini faranno fare una verifica al luminol.
– Pazzesco, con un solo carico ho fatto almeno due chili! Comunque conviene snocciolarle a mano direttamente nella scodella, si salva più sugo.
–Ah.
E tutta la giornata è stata accompagnata da un ribollir di pentoloni. A mezzanotte il secondo giro di barattoli era sottovuoto e il cuoco si aggirava inquieto chiedendosi dove fosse meglio riporli.
Alle 6,25 del lunedì suona la mia sveglia.
– Merda! Ho perso il treno! Ma avevo messo la sveglia ieri sera, chissà perché ho sbagliato?
–Già, chissà cosa avevi in mente.
Il treno perso gli è costato un viaggio di otto ore per raggiungere Torino. Nella pausa di due ore a Milano ha telefonato.
– Uffa mi tocca aspettare due ore la coincidenza! Ti viene in mente un buon sushi qui vicino? Ah e ogni tanto vai a vedere i miei vasetti, li ho messi in frigo di sotto.
Alle tre il suo treno era fermo nel mezzo della Pianura Padana:
–La prossima volta vengo in bici passando da Nizza a mangiare i gamberetti che faccio prima, almeno ci guadagna la linea. Comunque ho guardato la ricetta del Ratafià, ci serve un vaso da cinque litri, e poi devo comprare cinque litri di vino apposta e cinque chili di ciliegie. Solo che devono riposare al sole un mese, forse ci conviene portarci il vaso in vacanza, così le controlliamo.
Comincio a essere preoccupata. Ha ancora le mani insanguinate e dà segni di ossessività, non vorrei lo fermassero alla frontiera.