Qui non si finisce mai d’imparare.
Dovrebbe essere così sempre e dappertutto.
Ma qui, in un Paese che comincio a conoscere insieme ai miei figli, ogni nuovo anno scolastico è tutto una sorpresa.
Non è solo il fatto che io non ho studiato qui, è anche la velocità con cui cambiano le cose da queste parti.
Quando a Milano avevamo fatto il giro dei licei per scegliere, erano quasi tutti gli stessi di quando andavo a scuola io, e molti uguali a quando ci andava mia madre.
Gli stessi edifici, magari un’imbiancata, ma poco di più.
Le stesse rivalità tra storici licei del centro e frizzanti scuole di periferia.
Una rinfrescata ai programmi, qualche accenno di inglese in più, ma davvero l’impressione era quella di una sostanza immutata e immutabile.
Anche le facce dei liceali milanesi non sembravano così diverse, bravi ragazzi, appena un po’ alternativi, schiene curve dalla montagna di libri e compiti, sorrisi fiduciosi di chi appartiene all’elite del mondo.
Con i suoi pro e i suoi contro, mio figlio avrebbe dovuto misurarsi con lo stesso cammino percorso da sua madre, suo padre, sua nonna.
Invece siamo partiti per la Svizzera.
Dove il liceo non esiste. Si chiama gymnase e dura solo tre anni.
Scelta quindi rimandata.
Prima bisognava finire la scuola dell’obbligo, tutti insieme fino a quindici anni.
Diplomarsi, imparare francese e tedesco, e meritarsi il diritto di continuare a studiare.
Perché se non hai una certa media è inutile che occupi un banco di gymnase, ci sono dei meravigliosi percorsi triennali d’apprendistato, la scuola di commercio e il lavoro non manca, se poi cambi idea puoi sempre farti un anno di passerella e tornare a studiare all’università.
Abbiamo faticosamente fatto il nostro dovere e ci siamo ritrovati davanti la scelta già fatta due anni prima: quale liceo?
Domanda sbagliata, qui non si sceglie la scuola, si sceglie quello che si vuole studiare.
Prima lingua: francese per tutti. Seconda lingua nazionale: italiano o tedesco. Terza lingua: inglese o latino. Opzione specifica: una vasta scelta da fisica a filosofia, passando per economia, musica, arte.
Prese le proprie decisioni si consegna il modulo giallo e nel corso dell’estate, tendenzialmente all’ultimo momento prima della chiusura delle segreterie, mossa furba per evitare proteste dei genitori, quindi a fine luglio si riceve a casa la lettera del proprio gymnase dove presentarsi a fine agosto.
Qui non si sceglie la scuola e ci si fida del sistema, si fa anche fatica a raccogliere informazioni, perchè da un giorno all’altro può sorgere un nuovo edificio.
Quindi sì c’è il collegio più antico della città di fronte alla cattedrale, sembra Hogwart e gode di prestigio secolare, e ovviamente a noi è venuto spontaneo provare a iscriversi lì. Ma è la sorte a decidere e così ieri abbiamo cominciato in un nuovissimo cubo di cemento al centro del cantiere per il rinnovo della stazione.
La scuola ha aperto l’anno scorso e non ci sono ancora diplomati.
Raccoglie tutti i ragazzi che hanno fatto domanda per la maturità bilingue e l’anno all’estero. L’hanno costruita apposta, in due anni.
Partiranno solo quelli con la media più che sufficiente, ma al ritorno, l’ultimo anno ci saranno classi di ragazzi che rientrano da ogni parte del mondo, continueranno a studiare alcune materie in una seconda lingua e avranno un programma speciale per arrivare alla maturità alla pari con gli altri.
Il quartiere è il più multietnico e malfamato della città, quello in cui la sindaca dopo il referendum che vietava la costruzione di minareti, ne ha fatto fare uno di legno e cartone, che non viola la legge perchè considerato provvisorio. Noi adoriamo quelle strade almeno un po’ simili a una città italiana.
In classe lo studente svizzero è uno solo, alla faccia delle percentuali che tanto terrorizzano i genitori italiani. Gli altri ragazzi arrivano da ogni parte del mondo, nord, sud, est, ovest.
Il martedì in pausa pranzo c’è il corso facoltativo di cinema, tema: la guerra nel cinema.
Per il cibo abbiamo proposto una nuova organizzazione:
–Allora abbiamo deciso che dal primo settembre ti verseremo un fisso sul tuo conto con cui ti dovrai gestire i pasti e biglietti dei trasporti se vai fuori dalla zona dell’abbonamento. Poi se tu vuoi prepararti qualcosa a casa e risparmiare, sta a te, ma io non me ne occupo. Penso che in quindici giorni potrai organizzarti un traffico di spaghetti per gli operai dei cantieri intorno.
–Sì dai, poi mi organizzo con un Apecar e faccio il business.
–In effetti in treno ci metti tre minuti, potresti arrivare da casa con la pentola calda.
Le nostre speranze imprenditoriali sono durate poco:
-Mamma purtroppo il mio business è fallito prima di cominciare.
–In che senso.
–Eh, gli svizzeri sono proprio ingenui, sulla caffetteria della scuola c’è scritto che è già fallita. Ci credo, noi siamo liberi di uscire e fuori è pieno di khebab e ristoranti che sono più buoni e costano meno. Poi ci hanno già pensato prima di me, e alla pausa pranzo il cortile si riempie di Apecar che vendono di tutto, io con il buono che mi ha dato la scuola, mi sono preso una pizza più che decente, quasi italiana. Meno male perchè non finisco mai prima delle cinque.
Sono fiduciosa per i prossimi tre anni, se anche non partisse, il mondo ormai ce l’ha in classe e ne è cittadino.