Sarahah, pensieri sparsi e chiacchiere tra genitori.

Sarahah, pensieri sparsi e chiacchiere tra genitori.

Una busta bianca su fondo azzurro mare fa capolino dalle pagine dei social network in questo caldo ferragosto.

E’ il nuovo gioco dell’estate? Purtroppo no, mi viene da dire.

E’ il logo di Sarahah, l’applicazione che sta facendo tanto parlare in questi giorni.

Il suo nome, in arabo, significa onesta’. Ma, a me, suona quasi come un ossimoro.
Il suo inventore, un giovane saudita, l’aveva pensata come strumento aziendale, perché i dipendenti potessero utilizzarla per fare critica costruttiva ai dirigenti in maniera appunto onesta, ma anonima, e senza che ci fosse possibilità di replica.

Il salto dal sistema aziendale alla rete e’ stato breve. Il successo è esploso da quando esiste la possibilità di condividere link su Snapchat, app tanto amata dai giovanissimi.

L’aspetto tecnologico della vicenda in gran parte mi sfugge. E forse è giusto così. Faccio parte di una generazione che a scuola si scambiava ancora i bigliettini. Un’era geologica prima di Snapchat.

Ma più leggo queste storie e più i miei pensieri seguono il filo rosso dell’indignazione. Come persona e come genitore.

E non posso smettere di farmi delle domande.

Come possiamo essere indifferenti, o peggio ancora sorridere, davanti a strumenti che avallano il commento anonimo, che aprono la strada alla libera offesa, che permettono di “recensire” gli iscritti come fossero un libro, un film o un ristorante? Come possiamo chiudere gli occhi davanti a mezzi che un domani potrebbero essere nelle mani dei nostri bambini, che in qualche modo rischiano di favorire i sempre più frequenti fenomeni di cyberbullismo?

I nostri figli sono nati in un mondo pieno di smartphone, di tablet, di applicazioni e chi più ne ha più ne metta. Sarebbe inutile, anzi sarebbe controproducente, far finta che non sia così. Sarebbe pericoloso vietare, negare, nascondere.

Seguendo il filo di questi ragionamenti mi è tornata in mente una bellissima immagine a cui faceva riferimento una psicologa che ho ascoltato parlare, qualche mese fa, ad un incontro per mamme e papà. Immaginava i genitori come guide di montagna che accompagnano i loro figli nella crescita come se fossero in cordata. Guide salde e forti.

E allora, anche in questo caso, meglio attrezzarsi, meglio mettere gli scarponi, meglio mettere in campo un’educazione che sia anche tecnologica.

Perché forse, a pensarci bene, il panorama su cui ci affacciamo noi, non è così diverso da quello che vedeva la generazione che ci ha cresciuti. Forse ha solo un cappello diverso, ma la sostanza è la stessa.

E allora perché non cogliere l’opportunità di avere mezzi tecnologici sempre a portata di mano per imparare qualcosa di nuovo insieme ai nostri bambini, per far sì che possano approfondire una lingua straniera, fare ricerca, leggere e studiare, ma anche sviluppare una certa capacità critica, una libertà di pensiero che sarà l’unico vero antidoto che possiamo regalare a loro contro tutte le Sarahah che incontreranno nella vita.

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