Dopo aver ripetutamente annunciato che invecchiando avevo intenzione di diventare sempre più bizzarra.
Dopo aver distribuito immagini della regina d’Inghilterra per fornirmi riferimenti regali.
Dal mese scorso sono passata all’azione, cominciando con l’acquisto di un indispensabile paio di zoccoli danesi, che mi fanno simpatia solo a guardarli. Indossati poi sono di una comodità strepitosa, e la loro suola di dieci centimetri isola finalmente i miei poveri piedi dal gelato suolo elvetico.
L’accoglienza ai miei annunci di bizzarria, in casa è stata mediamente di tiepida indifferenza, un minimo di sano terrore nel mio consorte, e invece un gioioso entusiasmo da parte di mio figlio minore che sembra trovarsi molto a suo agio all’idea di una mamma bizzarra, non a caso lui è il più coraggioso della famiglia.
Ma si sa zoccolo chiama calzettone, e se si vuole essere bizzarre bisogna sia molto colorato, così da settimane mi aggiro per casa con certe calze a quadretti arancioni, bordeaux e turchesi, che fanno impallidire Babbo Natale e che con gioia io lavo, asciugo e rimetto. Finché, come doveva essere, mercoledì mi sono dimenticata di toglierle per andare al conservatorio.
–Orpolina, tesoro mi sono dimenticata di cambiarmi i calzettoni, mi sa che non facciamo in tempo a tornare indietro prima che arrivi il bus, ti vergogni se ti accompagno a pianoforte così?
– Ma va mamma, secondo me la regina d’Inghilterra se le mette di sicuro.
–Hai ragione, ora che me lo dici le guardo con tutt’altri occhi.
Cosí con una certa baldanza, io e il mio personal stylist ci siamo avviati alla fermata del bus e grazie sicuramente ai miei calzettoni fendinebbia lo abbiamo raggiunto al volo con uno scatto alla Bolt.
Il giorno dopo poi era la volta dell’ospedale.
Ci stiamo andando tutti i giovedì a incontrare la deliziosa M. che ufficialmente è una specialista in ergoterapia per bambini, in realta è di sicuro una maga.
Ci divertiamo moltissimo con lei che ogni settimana se ne inventa una nuova.
Dai suoi armadi misteriosi tira fuori ogni genere di oggetto che ci dobbiamo allenare a riconoscere con il mignolito, senza usare né gli occhi né le altre dita. Si chiama fare il touche à tout, ed è divertentissimo.
Poi con una macchina magica fa dei massaggi al piccolo dito, perché come ci ha spiegato sulle pelle abbiamo tanti tipi di cellule che riconoscono cose differenti, e non bisogna dimenticarci quelle che reagiscono alla vibrazione. All’inizio faceva un po’ male, ma va meglio ogni volta.
Ogni tanto ci vediamo nella sala di Oscar lo scheletro e lì è un po’ più difficile concentrarci sulle superfici da riconoscere, perché Oscar fa troppo ridere.
Ma la parte migliore è quella dei prototipi.
Perché qui un bambino che studia al conservatorio è una cosa importante, e se gli manca un centimetro di dito, M è pronta a fare di tutto per fargliene riguadagnare almeno un po’.
Allora lei si ingegna con delle cose bellissime, ed è difficile credere che non stia giocando.
Prima di tutto ci ha regalato dei vestitini in silicone tagliati su misura per il mignolito, che non fanno guadagnare tanti millimetri, ma lo proteggono così non fa male quando suona.
Poi ha provato con una resina bellissima che all’inizio è morbida e le dai la forma del dito, poi la scaldi, la lasci raffreddare e si indurisce.
Ne abbiamo incollato un pezzetto sopra il vestitino del dito e l’abbiamo provata per una settimana, ma non eravamo contenti, era bella dura, ma troppo liscia, e mignolito scivolava sui tasti del piano.
Allora la settimana dopo, M ha tirato fuori due barattoli pieni di una specie di didò, uno bianco e uno verde, che finché sono separati restano morbidi, ma se li metti insieme si induriscono per magia. Con quelli abbiamo fatto un cappellino per il dito da infilare dentro il vestitino e sembra funzionare meglio, anche se è ancora un po’ ingombrante. Faremo delle altre prove.
Alla fine mentre prendevamo gli appuntamenti per le prossime prove, la nostra fatina della mano, ci ha detto che a gennaio non ci sarà per due settimane. Va in Benin a occuparsi di bambini un po’ meno fortunati. Parte insieme a un gruppo di dottori del nostro ospedale che ha raccolto i soldi per costruirne uno piccolo laggiù. Nei dieci giorni che staranno lì opereranno più di settanta bambini e lo faranno insieme a dottori e infermiere del posto, perché come ci ha detto,” l’obiettivo è la trasmissione di saperi, non andare lì come colonialisti”. Ha detto che lo ha già fatto l’anno scorso e le piace molto, “fa mettere i piedi per terra, quando chiedi a un’infermiera qualcosa per pulire una ferita e lei ti passa un fiore di cotone appena colto”
Al momento dei saluti io cercavo affannosamente i cappelli in borsa. E il mio sylist fierissimo ha spiegato:
-Sai nella borsa della mia mamma si trova di tutto, una volta abbiamo tirato fuori delle calze, proprio quando ci servivano. E un’altra ci abbiamo trovato una lattina di latte di cocco, è magica la borsa della mia mamma.