L’avvincente vicenda dei piedi scalzi di mia figlia ha scatenato un’ondata di solidarietà nei miei confronti di cui non posso che essere grata.
Si vede che la questione scarpe dell’adolescente è piuttosto sentita.
In effetti sulla simbologia delle scarpe si sono espressi i più grandi filosofi, Freud in testa.
Posso quindi comprendere che nelle maree dell’adolescenza, in cui ogni scelta assume un fondamentale valore identitario, la decisione su quali scarpe scegliere per sopravvivere all’inverno, diventi per la mia ragazza quasi insormontabile. Con carichi sociali ed emotivi ben superiori al senso di un paio di calzature.
Ciò su cui non mi davo pace però era la mia parte in questa assurda coreografia.
E qui sì che la questione diventava di portata universale.
Quanto deve intervenire il genitore dell’adolescente?
Sappiamo che è arrivato il momento di lasciarli sperimentare, sbattendo il muso in proprio. Ma fino a quando è giusto non intervenire?
Devo reprimere il mio nervoso montante, o è giusto al un certo punto ricordarle che quattro quinti del mondo non hanno neanche la possibilità di scegliere quali scarpe indossare?
Sbagliando si impara. Ma partire per una settimana di scuola sulla neve con solo le scarpe da ginnastica non è un po’ eccessivo come sbaglio?
Il buon senso vorrebbe che si approfittasse delle vacanze in Italia nei giorni dei saldi e dei regali natalizi delle nonne per risolvere la questione con ampia scelta e prezzi ragionevoli.
Ma l’ultima volta che ho insistito per l’acquisto di un paio di scarponcini, sono stati indossati meno di dieci volte prima di diventare piccoli. Quest’anno almeno risparmio la spesa.
Ma mentre io mi dibattevo inutilmente in questi dilemmi educativi, sono stata abbattuta dall’influenza, che mi ha ricordato che non posso occuparmi di tutto e che devo mollare qualcosa, le scarpe di mia figlia sono la prima cosa a cui ho rinunciato.
E ho ottenuto, nell’ordine:
– come prima cosa che il fratello maggiore, non più facile di sua sorella in fatto di abbigliamento, ammettesse che visto che a lui il piede non cresce più, forse avrebbe potuto investire parte del suo budget nell’acquisto di un paio di calzature invernali, e forse addirittura anche di una felpa pesante, ché con il golf ricevuto dal nonno si stava bene e in effetti in inverno da noi fa parecchio freddo.
– che la mia ragazza accettasse in prestito dalla nonna un paio di eleganti doposci e accettasse di portarli per sicurezza al campo di sci.
– che la suddetta ragazza accettasse l’eventualità di trovare un paio di scarpe invernali che forse avrebbe potuto indossare anche a scuola e nel caso si procedesse all’acquisto. (L’ultima ammissione è stata fatta dopo aver dovuto affrontare la nevicata eccezionale sprofondando nella neve a caviglie nude.)
-che oltre alle scarpe si ammettesse l’eventualità di passare a dei calzini che coprissero anche il malleolo e che superassero lo spessore di un micron.
Davanti a tanta ragionevolezza inattesa, ho trovato il coraggio di affrontare l’incubo stagionale, il passaggio all’outlet sulla via del ritorno.
Stavolta però ho ben organizzato le truppe in tre battaglioni.
Prima squadra, padre e figlio minore. Obbiettivo molto semplice: due o tre magliette a maniche lunghe, altrettanti calzini. Campo d’azione unico e sgombro, saldo GAP al settanta per cento. Successo dell’operazione, totale. “Babbo scegli tu che mi piace come ti vesti, basta che mi prendi dei colori normali e quella col dinosauro”
Seconda squadra, gioca da solo, figlio maggiore con proprio budget. Obbiettivo molto ragionevole: ” Compro solo se trovo qualcosa che mi piace veramente, di sicuro dei jeans”. Campo d’azione libero e multiposizione. Successo dell’operazione, molto elevato. Due paia di jeans al prezzo di uno, all’apparenza identici, ma lui molto contento.
Terza squadra, le ragazze di casa. Obbiettivo impossibile: trovare qualcosa che secondo lei le stesse bene. Campo d’azione l’universo. Al sesto paio di jeans provati nel terzo camerino, la dichiarazione ” questi mi piacciono”, mi sono sciolta in lacrime mentre prendevo a testate la parete. Ne abbiamo presi due paia.
Arrivati a Milano in tempo per la prima pizza della vacanza, abbiamo sguinzagliato la ragazza, i suoi jeans, e la sua cocciutaggine, in un turbinio di amiche, giri di saldi, film dalle amiche, film al cinema, che ce l’hanno restituita solo la sera prima della partenza.
A quel punto l’universo mi ha mandato il primo segnale inequivocabile.
In un rapido passaggio al mercato sotto casa, su una bancarella tutto a venti euro, lei ha trovato le scarpe che cercava, sono calde, ma non troppo pesanti, foderate di pelo, la suola carroarmato. Nel mucchio dei dieci euro ha scelto due maglioni. Partirà calda per il campo di sci.
Qualche ora dopo, dall’universo, la conferma.
Alla Coop, mentre cercavamo il pesce, ci siamo imbattuti in una montagna di scarponi australiani in sconto al cinquanta per cento, solo numeri enormi. Aspettavano il mio adolescente spilungone. Ora anche i suoi piedoni sono al caldo.
Morale, io ho rinunciato a discutere, i miei figli hanno delle scarpe calde, ho speso la metà di quanto temevo.
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