gli affetti non hanno frontiere

Mentre il freddo siberiano scendeva verso sud,  noi risalivamo verso nord.

Come sempre le vacanze in Italia sono tornare a casa.
Anche se stiamo scegliendo i rubinetti per la nostra prima casa in terra straniera.
E in quattro giorni a Milano abbiamo organizzato lo sgombero di quella vecchia. Regalato pezzi storici del nostro studio. E messo in programma una vera festa d’addio al quarto piano senza ascensore.
Comunque saremo sempre a casa lì, anche se lo saremo un po’ qui.
E forse è una cosa che non si può spiegare a chi non la prova sulla pelle. Altrimenti non mi capacito di tutte le orrendezze da campagna elettorale che si sentono in questi giorni.
Non è una cosa difficile per chi abbia più di un figlio.
Il cuore si allarga per fare posto a tutti quelli che arrivano, il bene aumenta, ce n’è per tutti.
Succede anche con le radici delle persone, si allungano, tengono insieme più paesi. E la chiave sono sempre gli affetti.

Il mio bambino che ormai parla con le vocali alla francese, ma quando torna vuole sempre andare all’uscita delle elementari; dopo due pomeriggi di pallone all’oratorio, su un campo di calcio ben più sgarruppato di tutti quelli svizzeri su cui ha giocato negli ultimi due anni, ha spiegato alla sua nonna:

Io vorrei portare in Svizzera tutti i miei amici!

Ma chi, E e S?

Beh sì certo, e anche L, ma non solo e non in vacanza e basta. Io vorrei portare tutti, fare un villaggio con tutti quelli che abbiamo qui a Milano, i nostri amici, i compagni di scuola, le maestre, come abbiamo qui, però in Svizzera.

Perché in Svizzera è più bello? Ma anche lì hai degli amici?

Sî, però non si fanno gli amici come qui.

E a me sembra la risposta migliore a chi non capisce perché continuiamo a tornare.
Potremmo non farlo. Allontanarci dal nostro ingrato Paese.
Potremmo vendere tutto quello che abbiamo e comprare una grande casa qui. Vorrebbe dire avere uno status diverso, ché gli svizzeri le guardano certe cose. Oppure potremmo evitare di tornare ogni vacanza e visitare altri luoghi.
I nostri figli tra poco potrebbero avere la cittadinanza e nessuno avrebbe il diritto di ricordare le loro origini, neanche per fini statistici.

Invece passiamo pomeriggi a giocare su un campetto dell’oratorio e a respirare aria puzzolente della nostra città.

Ma io sono sicura che i miei ragazzi ne stanno guadagnando in prospettiva.
Non cresceranno emigrati col mito della madrepatria sconosciuta e idealizzata.
Non saranno ricchi svizzeri diffidenti di ciò che accade oltre confine.
Sarà forse sempre difficile autodefinirsi, non esiste ancora una casella per quelli come noi.
Ma nel loro cuore sapranno che gli affetti non hanno frontiere.

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