bambini e basta

irene bernardini bambini e basta

Irene Bernardini, Bambini e basta, Mondadori 2012

Il sottotitolo del libro dice già tutto:

perché non dobbiamo dimenticare che i grandi siamo noi,

e ancora di più questa volta mi sembra che sia stato scritto per me.
(continuerò questa rubrica di letture scegliendo testi che credo siano stati scritti per me, poi spero qualcuno mi dia un po’ il cambio oppure crederò di chiamarmi Napoleone e smetterete di darmi retta)

Prima di tutto per me bambina, che sono stata accolta nello studio della geniale dottoressa Bernardini con la diagnosi: “mi sembra che tu stia portando dei pesi troppo grandi per le tue spalle”.

Poi per me ragazza, che ho sempre pensato che un mondo che non va bene per i bambini, non vada bene neanche per i grandi, e misurato le persone per come trattavano i loro figli. Fossero grandi professori o premi Nobel, per me se uno non era un buon genitore non era una brava persona, unici scusati quelli così mirabilmente onesti da decidere di non voler avere figli.
Ora per me genitore, che da molti anni mi sforzo, senza troppo riuscirci, di non mettere sulle spalle dei miei figli il peso della mia infanzia complicata.

Era settembre 2004 e accompagnavo il mio primogenito che ancora non aveva compiuto tre anni – i miei figli son tutti autunnali – al primo incontro con la scuola materna.
Eravamo nel grande atrio della vecchia scuola che avremmo imparato ad amare. Era pieno di genitori e bambini, lo tenevo per mano.
L’emozione saturava l’aria e si trasformava in un chiacchiericcio diffuso e nervosetto, genitori che facevano gli spiritosi cercando di rincuorare se stessi e il proprio piccino.
Noi stavamo zitti. Lui è sempre stato taciturno, io no, ma l’emozione mi serrava lo stomaco e le lacrime spingevano dietro le palpebre.
A un certo punto ricordo distintamente una voce nella mia testa che mi dice:

– Alessandra get a grip! [ chissà perché mi parlava in inglese ] questa volta tu sei la mamma e lui il piccino, se dai i numeri tu, lui come farà ad affrontare l’asilo!?

Ecco da quel momento in poi ho cominciato consapevolmente a fare i conti con le vigliacche capriole delle emozioni, per cui, per quanto ci sembri di essere sopravvissuti alla nostra infanzia, diventare genitori ci costringe a rivedere ancora una volta tutta la faccenda.
La scuola materna è stato un momento difficile per me da bambina e, per quanto mi sembrasse lontano, ho dovuto ammettere che ritornarci col mio bambino mi ha messo sottosopra. E ha continuato a farlo per tutti e tre i miei figli, al punto da rendermi ridicola, per i fiumi di lacrime versati a ogni coro di Natale.

Ora però che il mio piccino mi ha superata in altezza e porta il 45 di piede, mi posso concedere il lusso di spostare l’attenzione sul chiacchiericcio nervoso intorno a noi in quella mattina di undici anni fa.
Ma allora non ero solo io, quella disturbata da un’infanzia troppo alternativa e un divorzio prima della legge!?
Anche gli altri genitori galleggiavano in una bolla d’ansia, che scaricava sulle spalle dei piccoli la responsabilità di rassicurarli entrando in classe baldanzosi.

Siamo in tanti ad avere momenti di smarrimento come genitori e a cercare conferme nella buona riuscita dei nostri figli. E questo non va tanto bene per i bambini perché, come scrive Irene Bernardini:
Mi sembra che stia venendo meno la libertà e il diritto di un bambino a essere piccolo: a non dover fare troppo, decidere troppo, scegliere troppo, pensare troppo, a non dover essere proprio lui, che è piccolo, a regolare i conti tra i grandi, a non doverli gratificare e confermare, consolare o difendere o premiare o punire o risarcire.

Nel libro ci racconta come questo accada in molti momenti quotidiani, la nanna, la pappa, la scuola, o in quelli più complicati come la separazione dei genitori. Vale la pena di leggerlo, anche se i figli non sono più piccoli.

Io ci ritrovo la cifra della nostra generazione, genitori post anni settanta senza un modello autoritario da abbattere, ma anche senza uno nuovo altrettanto granitico a cui attenerci.
Uno degli obbiettivi di Faccio Quello Che Posso è cercare un senso insieme e darci il conforto di cui abbiamo bisogno – e che non va bene chiedere ai nostri figli –possibilmente ridendoci sopra parecchio. 

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