Assentarmi due giorni da casa, lasciando tre figli di cui due adolescenti e due gatti alle cure di un padre piuttosto intellettuale, abbastanza distratto, gravemente workaholic e moltissimo impegnato, comporta che al ritorno un bel cumulo di mestieri e biancheria mi attenda feroce e baldanzoso. (Il frigo però era pieno di cose sane, la lezione di storia era stata ripassata e arrivando dal treno ho trovato la cena in tavola, quindi tutto sommato non mi posso lamentare, per i miracoli ci stiamo attrezzando.)
Per fortuna mercoledì pomeriggio qui non si va a scuola, così chiamo a raccolta la mia piccola squadra di pulitori e man mano che rientrano, distribuisco ruoli nella coreografia La grande pulizia di casa.
Lavorare in coppia funziona abbastanza bene, così in quattro e quattr’otto i bagni sono splendenti e un buona parte degli operatori ecologici può essere dispensata dal servizio.
All’ultimo arrivato resta il pavimento della cucina, ma per un’imprevedibile coincidenza di eventi su questa missione impossibile si concentrano all’improvviso i disagi e le sofferenze dell’adolescenza.
Avere quattordici anni non è facile e metterci sopra un cambio di nazione non aiuta.
Così il registro della coreografia cambia drammaticamente e dai toni dell’ammutinamento e della rivendicazione sociale, si passa alla sofferenza della nostalgia e dell’incomprensione. Mentre cerco di non perdere l’equilibrio e mantenere la dignità, di non correre a fare le valigie per l’Italia, di contenere e confortare, di essere accogliente ma di rinforzare, intanto dentro di me ripeto una silenziosa preghiera.
Non so come a un certo punto gli animi si calmano e dimenticato il pavimento, ciascuno si trova un’occupazione più utile, fare i compiti, giocare a calcio, leggere, mentre io mi preparo per andare al colloquio con gli insegnanti.
Ed ecco che, meravigliosamente inatteso, suona il campanello.
Apro e mi trovo davanti due meraviglie dal cielo, M. e D., una bionda e una bruna, emozionate e intimidite, hanno quei risolini complici delle adolescenti, stanno cercando il mio G., lo hanno visto scendere dall’autobus qui davanti l’altro giorno. Hanno suonato a tutte le porte della piazza e si sono fatte abbaiare dietro dai cani della vicina. Lui scende le scale volando, se lo portano via non so dove con un frullo d’ali, non chiedo, non importa.
Restiamo io e il piccolo.
– mi sa che mi devi accompagnare a scuola al colloquio. Tuo fratello è uscito.
– mi sa mamma, che la tua preghiera è stata ascoltata.
– mi sa proprio di sì.
E se per caso mi fosse rimasto ancora qualche dubbio riguardo i miracoli, sul campo da calcio davanti alle scuole superiori troviamo tre settenni che invitano il mio a giocare – è la prima volta da quando siamo arrivati – e il colloquio con l’insegnante di tedesco va a meraviglia.
Nessuno provi più a dirmi che le preghiere non servono, al massimo posso discutere sull’indirizzo del destinatario, le mie di solito sono le mie nonne.