Ho letto Daughter in inglese appena uscito, un’estate in cui non sapevo ancora che la nostra vita sarebbe cambiata radicalmente da lì a pochi mesi.
Poi l’ho trovato tradotto in Una famiglia quasi perfetta e ci sono rimasta male.
Ho grande rispetto per il lavoro degli editor, ma il titolo inglese, Figlia, scelto dall’autrice mi sembrava perfetto.
Il romanzo, comincia col racconto della madre in prima persona un anno dopo e prosegue in un saltellare drammatico di flashback e balzi in avanti: un giorno prima, un anno dopo, la sera della scomparsa, cioè la sera in cui la figlia quindicenne non rientra dalle prove in teatro.
Da lì parte la ricerca angosciosa della donna che, a caccia della sua bambina, intraprende un percorso che non lascia nulla di intentato.
Il suo coraggio, la sua ostinazione nel voler guardare dietro e dentro tutte le cose, le mostreranno una vita diversa da quella che credeva di avere.
Cercando sua figlia trova pezzi di sé che non conosceva.
E anche gli altri non sono quelli che immaginava di avere accanto.
Ho una figlia di dodici anni e sono contenta di aver letto questo libro.
Son contenta di averlo fatto in tempo.
Ci voleva un thriller per ricordarmi di non dare niente per scontato.
E per farmi apprezzare ogni minuto in cui la mia bambina non ha fretta di crescere.
Un regalo che devo difendere.