Questa settimana siamo in vacanza.
Uno dei vantaggi del nostro nuovo calendario scolastico è che a Pasqua abbiamo due intere settimane libere.
Da Venerdì Santo compreso, sedici giorni senza scuola. (chi ci invidia sappia che il 21 agosto avremo già finito le vacanze estive)
Ingolositi da tanta libertà abbiamo deciso di fare un salto nel buio.
Abbiamo accettato l’invito a una vacanza sulla neve con quattro famiglie tedesche, sconosciute.
Ci hanno invitato due colleghi. Sono marito e moglie e insegnano qui all’università, alternandosi perché i loro quattro figli vivono a Berlino.
A novembre sono venuti a cena con i loro ragazzi e, comunicando non so come, si sono tanto piaciuti coi nostri.
Da una simpatica serata è nata la folle avventura, loro lo fanno tutti gli anni: dieci adulti, undici ragazzi da uno a sedici anni con una maggiore concentrazione numerica tra i cinque e i dieci, due gatti (Vento e Tempesta), un cane, tutti sotto lo stesso tetto per una settimana di sci ai piedi del Monte Bianco.
Per ora di positivo c’è di sicuro l’organizzazione tedesca, lo chalet è gigante e attrezzatissimo, la divisione di oneri e onori già programmata con largo anticipo, ogni famiglia cucinerà una sera per tutti, le spese sono ripartite proporzionalmente ai componenti e alla loro età, essere in tanti vuol dire spendere poco.
Le incognite per ora sono: come cucineranno i tedeschi? come comunicheranno i ragazzi? Ma le premesse sono rassicuranti.
In ogni caso si parte.
E dopo ci resta il tempo per la nostra cara settimana a Milano a saziare la nostalgia a suon di pizze con gli amici.
In realtà è proprio per fregare la nostalgia che ho accettato l’invito.
Per sedici anni ho messo tutto il mio impegno per dare ai miei figli quello che mi sembrava il meglio, quello che a me era mancato, la stabilità. Stessa casa, bel quartiere, buone scuole tutte vicine, al centro il parco luogo d’incontro per tutte le età, amicizie che si costruivano pian piano negli anni, con la vicinanza quotidiana, la confidenza guadagnata un pezzetto per volta, naturalmente.
Poi la vita ha preso un’altra piega. Abbiamo cambiato nazione. E io non sono stata capace di mantenere le promesse.
Tutta quella stabilità è diventata un boomerang e ora siamo qui a struggerci di nostalgia.
Perché i miei ragazzi non sono attrezzati a ricominciare da zero. Non sono corazzati per reggere la diffidenza contro lo straniero. Non sono allenati reagire alla ferocia contro l’ultimo arrivato.
Per fortuna sono intelligenti e il mio rigoroso allenamento alle lingue sta dando risultati brillanti, più di quanto potessi sperare.
Ma ci manca un altro tipo di allenamento.
In questi mesi hanno cercato qui quella vicinanza che avevano con i loro amici a Milano e sono rimasti delusi.
Perché qui si tratta di salto in lungo e anche in alto.
Non possiamo contare né su frequentazioni di lunga data, né su una particolare apertura di carattere dei locali. Gli expat arrivano e ripartono e gli indigeni non hanno tanta voglia di iniziare amicizie a breve scadenza.
Quindi bisogna imparare a farsi degli amici, da zero. E visto che un buon esempio vale più di mille prediche, ho pensato che partire con quindici sconosciuti tedeschi di tutte le età, fosse un buon allenamento, un inizio almeno.
Era urgente cominciare. Nell’ultima vacanza milanese eravamo stati così bene con gli amici, che la nostalgia al ritorno era insostenibile.
Quindi continueremo a tornare appena possiamo, le nostre radici si sono allungate, ma restano a casa nostra. E non possiamo mancare alla School Marathon.
Ma inizieremo il nostro training, perché a essere felici si impara e forse è la lezione più difficile per i genitori.
Sicuramente dietro questa fatica si stanno costruendo individui solidi e attrezzati al cambiamento.
Grazie, è quello che più mi auguro per loro.