Emigrando in Svizzera, io ho perso due pezzi fondamentali della mia organizzazione: un aiuto in casa e uno spazio dove lavorare.
Ero consapevole della mia scelta, – ho scelto di avere un giardino – ma il prezzo era una delle ragioni che mi aveva fatto resistere per anni al trasferimento.
Ora dopo qualche mese di scrivania in soggiorno, so di dover trovare un’altra soluzione.
Il mio tavolo è sotto una bella finestra tripla, con vista romantica sui tetti del paese, all’inizio mi ispirava, ora mi accorgo che per metà mattina ho il sole negli occhi e non vedo lo schermo.
Il soggiorno è grande e luminoso, ha un camino e si apre sul giardino, ho pensato fosse poetico lavorare qui, ma chi entra ed esce mi passa sopra, per andare fuori a giocare o per rientrare a fare pipì.
La casetta è in centro paese, vicina alla scuola e alle fermate degli autobus, i ragazzi possono andare e venire da soli, e lo fanno, alle 7.15, alle 8.30, alle 12.00 per il pranzo che intanto io ho preparato, alle 13.00, alle 14.00, alle 14.45, alle 15.15, alle 15.30, alle 17.00, alle 18.30 e ciascuno quando arriva o se ne va, mi saluta, poi mi racconta qualcosa di bello che ha fatto, ha fame o sete, o cerca i fazzoletti, deve fare i compiti o farmi firmare un avviso.
Io sono sempre qui, e sono felice quando li vedo, faccio fatica a respingere quei bei faccini sorridenti che mi vogliono raccontare qualcosa, ho bisogno anche io di sapere che tutto sta andando bene nella loro nuova vita, sono grata di poterci abbracciare tante volte al giorno, di poter asciugare subito le lacrime quando qualcuno è feroce con loro, mi sento responsabile per averli sradicati.
Ma quando arriva sera mi prende la rabbia per tutte le cose che avrei voluto e dovuto fare nella giornata, scrivere, leggere, disegnare, studiare, sono il mio lavoro, ma finché la mamma è in soggiorno, è a disposizione ed è difficile capire che sta lavorando.
Mi sono arrabbiata tanto in questi mesi, troppo. Mio figlio piccolo mi ha detto, “Sei cambiata da quando siamo qui. Rivoglio la mia mamma di prima”, ma lui sa sempre dove andare a colpire.
Poi la rabbia è diventata tristezza, non più per la nostalgia, ma perché ho sentito che si intaccava il rispetto.
Ogni volta che mi possono interrompere, il mio lavoro vale un po’ di meno ai loro occhi, e così anche io, e questo non deve proprio succedere, toglie senso a tutto il resto.
Così questa volta ho provato a parlare con loro.
Non ho fatto sgridate, né propinato prediche, ho cercato di dire loro come mi sentivo. Ho cominciato dicendo che adesso sono io più in difficoltà di loro e ho bisogno del loro aiuto. Ho detto loro quanto conti per me il loro rispetto.
Ed è stato bellissimo.
Per quindici incredibili minuti sono stati tutti a sentire, ma non solo, abbiamo parlato di come sono le nostre giornate e abbiamo cercato insieme soluzioni perché io possa avere del tempo e pensato come rigirare la casa per trovare uno spazio, hanno anche voluto sapere tutto del mio lavoro e dei progetti per il futuro, erano pieni di idee e di suggerimenti.
Oggi sono felice, perché non avrò ancora uno studio, ma di certo ho una gran bella squadra.
Siamo abituate a dover trovare qualcuno che ci sostituisca coi nostri figli per poter lavorare, ma quando questo non è possibile si può provare a passare al livello successivo, e a crescere insieme, finché saranno loro a saperci aiutare.
E per il mio compleanno avrò una vera scrivania, molto vintage…