Ho letto un libro scomodo. L’ho letto tutto d’un fiato. E ho pianto.
C’è stato disagio e imbarazzo nel sentirmi così vicina alla protagonista.
La sua giovinezza nella mia città. Lei tra i confini della Comunità Ebraica, io per le stesse strade con pensieri non così dissimili.
La sua scelta di sposarsi giovanissima, lei a un passo dalla maturità, io un momento dopo la laurea.
L’accogliere come un dono tutti i figli che arrivano, per lei dal Trono Celeste, per me direttamente di miei sogni. I suoi sono sei, i miei la metà, ma ce n’è sempre uno che mi manca.
La passione per la ricerca e il lavoro in università, l’entusiasmo degli studenti e la diffidenza dei colleghi, i soprannomi, lei la mamma, io la puerpera il giorno del concorso.
La sensazione di perdere i pezzi per strada, di non essere mai dove si vorrebbe veramente essere.
La scelta di lasciare tutto e scrivere. Un po’ una vittoria, un po’ una resa, sta solo a noi come viverla.
Ma cos’ho io in comune con una giovane ebrea ortodossa?!
Molto più di quanto potessi pensare prima di leggere la sua autobiografia.
Perché nella scelta di essere madri presenti e donne attive che lavorano, pensano, studiano, scrivono c’è una forza rivoluzionaria che dovrebbe unirci tutte.
Il giorno che ci decideremo a riconoscerlo al di là delle caselle che ci contengono e sapremo sostenerci l’un l’altra e farci accompagnare dai padri dei nostri figli, allora sì che potremo riscrivere qualche regola e disegnare un mondo più accogliente per i nostri figli.
Forse non è un caso che lei si chiami Gheula, che vuol dire libertà.
Gheula
Ora sono io che piango. Grazie di cuore per le tue meravigliose parole. Gheula
Alessandra Spada
Grazie di aver risposto subito,
grazie essere venuta qui a trovarci.
La porta è aperta, torna quando vuoi, non sai quanto mi faccia piacere. Alessandra