Baby Block di Dino Taddei, edizioni zero in condotta, non è un libro.
Sono tre in uno.
Un romanzo di formazione.
Un mini saggio sull’anarchia.
Una lunga lettera d’amore.
Ma le sue 85 pagine, ad un costo popolare di copertina (10 euro) lo rendono un’ottima occasione anche per il più pigro dei lettori.
Si legge bene, scorre facile,(cosa sempre meno usuale da trovare) è divertente ed intriso di una magica ironia, direi quasi più di un sarcasmo diretto soprattutto verso se stesso, ma capace in alcuni passaggi di portare chiunque verso la commozione più o meno lacrimosa, a secondo della tipologia di lettore.
Dino ci trasporta facilmente tra immagini in bianco nero della sua infanzia, piccole cartoline di una Milano operaia e di periferia, a fotografie a colori, forse fotografie digitali, come piccoli selfie dell’oggi quotidiano (mi odierà per questo).
La scuola, i genitori (i suoi), i circoli politici, la casa della nonna immobile e ferma dopo la sua morte, fino alle immagini familiari (in ogni senso, la sua, le nostre), in bianco e nero e poi a colori invece l’altro ieri e l’oggi, del corso preparto, della prime visite mediche, le cene da amici, la corsa in ospedale.
Il romanzo di formazione si dipana lungo un percorso di lettura, inframezzato, dal saggio sull’anarchia e nasconde qua e là i frammenti della lettera d’amore, come se la si volesse nascondere per una qualche intima timidezza.
Una lettera d’amore che se apparentemente dedicata alla figlia appena nata, vero movente del tutto, in realtà parla anche e soprattutto della sua compagna nonché ovviamente madre di Anita, il nome di sua figlia.
Ma ci sono anche i vecchi amori sbagliati, ed il padre onnipresente protagonista di tutti e tre i libri.
E se il quesito che si vuol far credere essere il tema del libro: come si fa ad essere padre ed anarchico nello stesso tempo?
Quale tipo di educazione, quali regole, che pedagogia?
Il libello in realtà parla a tutti i padri (anzi babbi) e anche a tutte le mamme, a prescindere dalla loro collocazione e filosofia politica.
Un’alta dose di ironia appunto ci permette di capire ed immedesimarci, di confrontare le nostre reazioni alle sue, le sue riflessioni con le nostre.
Ci porta ad una meditazione sui luoghi comuni della gravidanza e poi del parto, così come sulla trafila di paure, ansie, scelte da fare, del dopo.
Si un dopo che dobbiamo affrontare tutti una volta lasciato l’ospedale.
Allora poi c’è il ménage di coppia, la nanna, l’asilo, la scuola, i genitori propri, i suoceri, il lavoro, che spesso manca, insomma come dicevo c’è la vita.
Non posso qui non riportare un passaggio quasi all’inizio del libro dove l’autore racconta così la prima ecografia:
“…. La vita da concetto teorico, inizia a farsi strada a livello sensoriale; d’accordo è solo una frittata di cellule ma pulsano pazze senza ancora un programma definito, un po’come i quattro cantoni confederati, nucleo primogenio dell’Elvezia. Come si formerà la nuova Svizzera non è dato ancora di sapere, in fondo anche uno degli Stati più solidi d’Europa, porta al suo interno quattro lingue, due religioni cristiane (oramai quasi sopravanzata dalla terza musulmana) e una trentina di Cantoni mignon con sovranità da stato. Il povero Guglielmo Tell non poteva certo prevederlo”.
E l’Anarchia in tutto questo direte voi che c’entra ?
Lo dovete leggere questo piccolo saggio, perché forse in tanti vi riconoscerete senza saperlo un poco anarchici, forse perché liberi.
Così come un padre anarchico quando fissa delle regole, nel suo intimo spera che il proprio figlio sia capace di combatterle, noi lettori leggendo questo libro penseremo di essere immuni dal tarlo dell’autoritarsimo tipico dei potenti, verrà un momento in cui i nostri figli termineranno la loro fiducia cieca in noi, ed inizierà la loro lunga via verso l’autonomia.
E allora quel pizzico di anarchia, o almeno un minimo di capacità di autoronia che ognuno di noi possiede anche se non coltiva ci sarà d’aiuto.