Io di calcio ne so davvero poco, meno di sicuro dell’italiano medio.
Non sono mai stata snob o ideologica in materia. Mi sono sempre divertita a seguire la nazionale, ma niente di più.
Ho sposato un intellettuale non molto sportivo di certo non calciofilo, e abbiamo fatto due figli che ci somigliano.
Ma la vita è piena di sorprese e così direttamente dei miei sogni, è arrivato un terzogenito che riequilibra noi quattro.
La storia familiare narra che sia colpa, o merito, di Luigi Garlando e delle sue Cipolline. La squadra di calcio nata in un oratorio della periferia milanese, è protagonista di una serie di romanzi per ragazzi che è arrivata al quarantasettesimo volume.
Ho iniziato a leggerli ad alta voce nell’estate del 2008. Ero sola al mare coi bambini e un enorme pancione, cercavo un modo per intrattenerli che non mi costringesse a grandi spostamenti, la libreria in piazza ci è venuta in aiuto.
Pare che il nascituro ne sia stato influenzato.
Per lui il calcio è una passione innata, di certo non l’ha imparato in casa.
La quinta parola che ha pronunciato è stato GOL!
Le prime quattro: mamma, babbo, telli, nonna, il gol è arrivato prima dell’acqua.
A malapena stava in piedi e già cercava di calciare la palla, di sinistro.
Fino all’anno scorso, la complicata gestione milanese in solitaria, mi è servita da scusa per rimandare l’iscrizione a una squadra e ci siamo fatti bastare l’oratorio.
Ma non poteva durare, così nella scelta della casa in cui emigrare è stata decisiva la distanza dal campo: 400 m. L’iscrizione al Football Club del paese è venuta di seguito.
Abbiamo iniziato la stagione a fine agosto e da allora, con qualsiasi tempo, ci si allena il mercoledì e il sabato ci si inerpica per sperduti paesini per il campionato.
Ho preso freddo, acqua, neve, e sole da bordo campo, tutte le volte ricambiata dalla sua gioia.
Un sorriso come quello che gli illumina la faccia mentre è con la sua squadra non ha prezzo.
La velocità con cui si veste il sabato mattina alle sette, non ha uguali nella settimana.
Anche io ho imparato parecchie cose e sto cominciando, qui all’estero, ad amare lo sport nazionale. Giocato dai piccoli ha tutto un altro sapore.
Ho visto quanto conti un bravo allenatore.
Il nostro è un personaggio fantastico, juventino per onorare le origini italiane, per lavoro è impiegato in un’assicurazione, per passione fa il dj con lo pseudonimo di pink mafia e un discreto successo internazionale, capita che manchi a un torneo perché il venerdì notte deve mixare a Ibiza o a Dubai, ma anche che arrivi in campo alle 9.00 essendo uscito dalla discoteca alle 5.00.
Per buon cuore allena i nostri bambini e lo fa con una professionalità e una competenza che neanche con una laurea in pedagogia dello sport si conquistano.
Li tratta con severità e rispetto, come fossero loro dei professionisti e con l’affetto ruvido di un papà orso.
Di ciascuno conosce punti deboli e meriti e ci lavora.
Mio figlio gioca in attacco a sinistra, la sua posizione, se e solo se, si è concentrato nel primo tempo dovunque sia stato messo.
Prima della partita briefing con tanto di blocco di carta per disegnare schemi e posizioni – mi chiedo sempre cosa capiscano loro – durante la partita continui cambi di posizione, sono piccoli e devono ancora provare tutti i ruoli, dopo la partita debriefing e non una volta che abbia commentato il risultato, sempre e solo il loro impegno.
Settimana scorsa al metà torneo il nostro portiere piangeva, suo papà era venuto a vederlo e lui aveva preso tre gol. Alla ripresa ha giocato in attacco e ha segnato.
Prima dell’ultima partita l’allenatore li ha messi in cerchio:
– Ragazzi è l’ultimo match, cosa dobbiamo cercare?
– La victoire!!
– Me ne frego io della vittoria! Cosa voglio io?
– La concentrazione?
– Già meglio. Ma cosa voglio di più?
– Il gioco di squadra?
– Così sì che ci siamo!! E ora andiamo a giocare. Hip hip…
– Hurràaa!!!
Sabato ne hanno perse due e vinte due, se settimana prossima va ancora così si classificano per la finale, che si giocherà nello stadio di Losanna.