E’ l’ultimo giorno di scuola ed è stato un lungo anno. Siamo tutti giustificati nell’essere stanchi e un po’ nervosi. Ci vorrebbe una grande capacità di comprensione e accettazione reciproca. Oltre che ovviamente la consapevolezza delle fortune che abbiamo.
Ma tutto ciò non sempre viene spontaneo e la stanchezza e il lamento prendono il sopravvento.
Mio figlio minore no. Lui non può ammettere di essere stanco, mai.
Così come non può ammettere di essersi fatto male cadendo.
O di avere paura guardando un film.
Non sia mai poi emozionarsi, o avere nostalgia degli amici italiani.
Neanche la fame è una debolezza accettabile.
Così nella sua personale visione del mondo, il film è annoiante e bisogna andare a casa, gli amici li ho salutati anche se tu non hai visto possiamo partire, tu non lo sai ma le gite sono noiose si può solo camminare…
Nella sua interpretazione qualsiasi emozione difficile da gestire si chiama noia, così se al campo scuola ha avuto nostalgia non me lo può dire, semplicemente è stato noioso e lui no, non si è divertito.
Per fortuna ai miei occhi è ancora trasparente, e mi basta uno sguardo per leggere il tumulto che lo attraversa, per ora.
Mi stringe il cuore vederlo compresso nella sua parte di eroe annoiato, così gli tendo dei tranelli, per dargli l’occasione di lasciare trapelare qualcosa.
Per fortuna la maestra J mi è venuta incontro e ci ha fatto una chiavetta con tutte le foto dell’anno.
Per fortuna ancora il nostro videoregistratore da trenta euro ha l’entrata USB.
Così ho avuto dalla mia il potere delle immagini, e davanti alla visione a pieno schermo, il nostro eroe ha capitolato almeno un pochino, gli sono scappati dei sorrisi, e il racconto si è sciolto…
sì in effetti il campo era in un bel posto…
le passeggiate erano faticose, ma anche divertenti…
sul bordo del lago abbiamo fatto la grigliata…
abbiamo anche preso una cabinovia…
poi un giorno ci hanno insegnato ad arrampicare…
c’erano delle passerelle sospese, ma io non avevo paura…
Qui la posta è un’istituzione, così dal campo io ho ricevuto un altro regalo, sembra una delle lettere censurate di Gian Burrasca dal collegio, ma io mi sono commossa, perché non si è dimenticato l’italiano, perché mi vuole sempre rassicurare, perché non si sa emozionare, ma sa dirmi che mi vuole bene: