Careful what you wish for, attento a ciò che desideri.
Noi volevamo tanto degli amici, qui.
Che potessero riempire almeno un po’ del vuoto della distanza, ché i nostri amici saranno sempre quelli a sud delle Alpi, con cui ci si abbraccia più facilmente e si condivide la buona tavola.
Ma avevamo tutti bisogno di qualcuno che compensasse tutte le volte che ci siamo sentiti poco accettati e diversi.
Qualcuno che ci facesse sentire ben voluti.
E allora l’universo ci ha mandato N.
N ha otto anni, i capelli arancioni e le lentiggini che vanno insieme, è alto per la sua età, porta gli occhiali, e non sta mai zitto, ma proprio mai, il ché detto da una famiglia di noti chiacchieroni vuol dire davvero qualcosa. Non ama perdere e si arrabbia parecchio, per questo è ben assortito con mio figlio. Io forse un po’ meno con i suoi genitori.
È figlio di due giganti. Il suo papà fa il poliziotto e viste le sua mani, non ha bisogno di girare armato. La sua mamma viene dalla Svizzera tedesca e lavora in aeroporto, è sempre sorridente e gentile, ma non oserei contraddirla.
N già l’anno scorso giocava nella squadra di calcio con il nostro piccolo, quindi è stato tra i primi ad essere invitato nel nostro giardino. Quando, dopo qualche settimana dal nostro arrivo, abbiamo festeggiato gli otto anni insieme all’equipe, c’era anche lui.
Da quel giorno mi ha fermata per le vie del villaggio, almeno tre volte, per dirmi che la mia torta al cioccolato era la più buona che avesse mai provato. Finché non mi sono decisa a farne una apposta per lui e invitarlo.
Sua sorella l’anno scorso era in classe con mia figlia. Così una volta N mi ha fermata, per farmi i complimenti per la torta, e mi ha detto:
– Mia sorella non tratta bene tua figlia e questo non è gentile, io gliel’ho detto che non va bene.
Lo diceva con un’aria molto compita da dietro i suoi occhiali, e mi ha commossa.
Dopo le vacanze ci siamo ritrovati al campo estivo di calcio e il martedì pomeriggio, senza neanche sapere bene come, mi sono ritrovata sotto il sole rovente su un autobus diretto al lago, perché N aveva voglia di fare il bagno dopo aver esaurito in due ore tutte le possibilità di gioco a casa nostra. Mentre ci preparavamo ha detto a mio figlio maggiore:
– Vuoi venire al lago con tua mamma? Noi andiamo a fare il bagno.
Il mio spilungone l’ha guardato dall’alto in basso e si è rimesso a leggere.
Eravamo gli unici tre passeggeri e abbiamo rischiato di finire in un prato, perché l’autista si sbellicava dalle risate alle domande, molto personali, che N gli rivolgeva.
Appena saliti ha cominciato con:
– Ma lei è felice guidare l’autobus?
– E cosa ha studiato per diventare autista di autobus?
Dopodiché nulla l’ha fermato e fortunatamente il tragitto era davvero breve, perché ho avuto compassione del povero autista.
In spiaggia il rosso e il nero mi hanno chiesto di poter fare i tuffi dal pontile.
Al centocinquantesimo salto, dopo che hanno scentrato una canoa, hanno scoperto che era proibito tuffarsi e son tornati di corsa a dirmelo ridendo come matti.
Al ritorno ho sfornato l’immancabile torta al cioccolato proprio mentre arrivavano sua mamma e sua sorella, così spinta dall’entusiasmo di N ho infranto una barriera, insormontabile per questo paese, e le ho invitate in giardino a mangiarne una fetta, senza preavviso. Sono rimaste quasi un’ora e si è sciolta persino la sussiegosa sorella.
Lunedì a scuola ci siamo ritrovati nella stessa classe, puntuale dopo pranzo ha suonato il campanello per rientrare insieme e all’uscita ci ha dato appuntamento al parco giochi.
Alle 17,15 come da accordi sono tornati a casa da soli, ma :
– T. mi ha detto che posso restare qui da voi a giocare un po’, io devo essere a casa alle cinque e mezza.
– Ma certo volentieri, tra dieci minuti ti avviso io, così poi T viene dentro a mettere le etichette sulle sue cose di scuola.
– Io però vorrei qualcosa da bere, ho davvero tanta sete.
– Benissimo arrivo subito, ti va bene del succo di pera?
…
– Sono le 17, 25 ora devi andare se no tua mamma si preoccupa.
– Va bene, ma vero che T può accompagnarmi fino a casa e restare ancora un po’a giocare da me, fino tipo circa le sei e mezza?
– Facciamo che ti accompagna fino a metà strada e poi torna a sistemare i suoi quaderni.
– Va bene, allora lo vengo a chiamare domattina alle otto per andare a scuola insieme.
Quando mi dicevano che gli svizzeri fanno fatica a fare amicizia, ma una volta fatta è per sempre, non pensavo che sempre volesse dire ogni minuto.
Finché un metro e mezzo di lentiggini non ha deciso che saremmo diventati la sua seconda casa.
E l’ha deciso con tale entusiasmo da intimidire il mio estroverso terzogenito.
Volevamo degli amici e ne abbiamo trovato uno che vale per cinque.