Lunedì qui si celebra il digiuno federale.
Non ho ancora ben capito che tradizione sia, studierò prima che mi tolgano il permesso di soggiorno.
Fatto sta che questo lunedì di settembre libero, per il secondo anno si rivela fondamentale per il nostro equilibrio.
L’anno scorso, ancora sotto choc da trasloco, eravamo tornati tutti insieme, a casa, in Italia, avevamo festeggiato il compleanno del più piccolo, che da sempre è la forza aggregante della nostra famiglia. Ci eravamo goduti il sole, mangiato pizza e comprato scarpe. Poi riempita la macchina di viveri e nostalgia eravamo ripartiti ad affrontare il nostro primo inverno svizzero.
Quest’estate siamo andati a volo libero, e non è stato niente male.
I grandi si erano iscritti da mesi a un folle campo scout.
E per tre giorni si sono rotolati nel fango, sotto il diluvio, in una foresta.
Erano trecento, abbigliati come matti, forse per questo sono finiti in televisione.
Al rientro erano due stracci, ma sembravano contenti, soprattutto orgogliosi di essere sopravvissuti.
Li ho rappezzati a suon di bagni caldi, tisane e intrugli omeopatici, perché qui saltare la scuola il giorno prima o dopo le vacanze è quasi reato penale.
Il pater familias era talmente preda del turbine d’inizio anno accademico, che desiderava solo stare solo coi suoi libri e le seimila immagini del suo archivio. Ed è stato accontentato a patto che si occupasse dei gatti, il che è una piacevole novità introdotta in luglio, ma che pare funzionare.
Invece io e il mio bambino, siamo i socievoli della famiglia.
Quindi vista la mala parata, pioggia, papà nervoso, fratelli via, ci siamo presi per tempo un bel biglietto per l’Italia.
Solo mamma e figlio, una rarità.
Una valigia e uno zainetto bastano per due, picnic compreso.
Ci si dà la mano e si parte, o quasi.
venerdì h. 16,45:
– Mamma, fra quanto abbiamo il treno, quando dobbiamo uscire?
– Dieci minuti, perché?
– Allora abbiamo un problema.
– Ma no dai, cosa?
– Mi scappa la cacca.
– Mmh, cosa dici pensi che in dieci minuti ce la possiamo fare?
– Ci possiamo provare.
….
– Fantastico ce l’hai fatta, ora scarpe, giacca, zainetto e si va.
– Mamma sai che oggi a scuola…
– No dai ti prego, scusami, ora metti prima la giacca, poi abbiamo tante ore di treno e mi racconti tutto.
– Sì, ma lo sai che N. ha tirato una pallonata al nostro gatto.
– Oh mamma mia, povero gatto, gliene parleremo quando torniamo, però per favore metti prima la giacca dello zaino.
– Sì ma sai che ho preso 5,5 nei verbi…
– Fantastico! [ndr qui il massimo è 6, quindi la notizia era davvero rilevante] Ora ti prego metti le scarpe.
-…
– Per favore non giocare a palla in casa, metti le scarpe, non facciamo che io alzo la voce, però neanche che perdiamo il treno, ok?
– Va bene, ora mi metto in modalità partenza, ecco guarda cambio la tesserina, e…clic, si va.
Ecco non so bene dove abbia trovato quella tesserina, ma doveva essere quella del bambino perfetto.
Perché l’esperienza del figlio unico con il mio terzogenito è una meraviglia sconosciuta.
Parole gentili, voce bassa, lunghi silenzi, silenzi.
Io, lui e il viaggio della speranza al contrario.
Attraverso le Alpi di venerdì sera, sali e scendi da tre treni, perché quello diretto non aveva più posti.
La gente in piedi, perché in Svizzera se hai il biglietto non ti possono impedire di salire e tutti vogliono tornare a casa di venerdì.
Odore di piedi! Qualcuno ha osato togliersi le scarpe in un treno stracolmo.
Ma noi, il ritratto dell’armonia.
Abbiamo letto un libro a testa, accanto senza bisogno di dire nulla.
Siamo arrivati nella notte dalla nonna che ci ha rifocillati, poi non ci siamo quasi più visti.
Lui aveva molti impegni sociali, fatti di notti condivise con gli amici, perché un pomeriggio di giochi non basta a recuperare la nostalgia.
Io ho preso molti aperitivi, visto molte amiche.
Approfittato della pazienza del mio parrucchiere che ha tenuto aperto per me.
Comprato regali di compleanno in certi negozi antichi, in cui il signore accanto a me spendeva mille euro con eleganza e io portavo a casa quasi solo la carta regalo, ma con altrettanta eleganza.
Il culmine è stato il picnic ai giardinetti, o meglio la partita di calcio di cinque ore, che non si poteva interrompere, e che ha dato la scusa ai genitori per mangiare e bere ininterrottamente.
Grazie alla mia città, che mi ha accolta col sole e mi ha fatta sentire a casa ancora una volta.
Grazie agli amici che si adattano a questi passaggi fugaci e ci fanno posto nella loro vita quotidiana.
Grazie ai bar coi tavolini fuori, che un saluto diventa subito più accogliente.
Per gli svizzeri sarà il digiuno. Per noi un fine settimana di libertà.