L’atto del raccontare è stato ed è sempre per la nostra “crew”, – come definisco io il nostro gruppo familiare -, di fondamentale importanza, un momento utile di coesione e di pausa.
Spiego. Fin da piccolissimi, il racconto era uno dei passi fondamentali della liturgia che abbiamo creato per insegnare ai nostri due diavoletti (prima uno e poi l’altra) a dormire la notte.
C’era il bagnetto, la cena e poi il racconto della giornata. Si non una favola, quelle servivano ad addormentarsi dopo pranzo per la siesta, ma dei veri e propri resoconti della giornata.
Il tema era esattamente la ricostruzione della giornata, quello che avevamo fatto assieme, quello che avevano fatto la mamma e\o il papà, in una sorta di diario continuo giorno dopo giorno.
Quindi si parlava di noi, dei nostri mestieri, di cosa avevamo fatto al lavoro oppure di cosa avevamo fatto assieme, ed ovviamente più l’età cresceva più anche il dettaglio del racconto si infittiva.
Cresciuti i ragazzi, la tradizione si è modificata, non dovendoli più addormentare, ma non il gusto del resoconto.
Capita ancora spesso di raccontarci quello che facciamo, quello che ci accade, comprese le vicende anche negative, come ad esempio, recentemente per la fine del mio rapporto lavorativo.
A loro piace molto, sentirsi raccontare, descrivere. Ridono come dei pazzi, se raccontiamo loro un episodio di quando erano piccoli, dei casini che hanno combinato, oppure di quanto sono stati bravi in una certa situazione.
Poi ci sono i racconti dei nonni, spesso anche qui storie di vita vissuta, che a loro piacciono davvero tanto: il nonno quando faceva il militare, la nonna alle prese con loro da piccoli etc.etc.
Quindi non tanto degli affabulatori, ma più dei cronisti di strada. Poca magia se vogliamo ma molta molta realtà.
Ancora adesso che hanno 11 e 9 anni, ci chiedono di raccontare quello che facciamo, se sentono i genitori impegnati in un racconto, vogliono sapere di cosa stiamo parlando e adorano quando li descriviamo, magari nei loro difetti, nei loro capricci oppure nelle loro attività preferite che al momento rimangono le gesta sportive.
Cosi come spesso la richiesta è di ri-raccontare cose del passato, di ripetere se possibile alla stessa maniera cose raccontate gli anni prima, perché ovviamente esistono dei “topics evergreen” che non andranno fuori moda mai.
Non so se capita anche ad altri, ma a me piace molto. Mi sono domandato se questo abbia ammazzato la fantasia, il sogno, l’onirico, ma non credo quelli li ritroviamo in altri momenti, nei libri, nei fumetti, a volte al cinema, né mi paiono particolarmente poco propensi (i ragazzi) al gioco e all’immaginazione.
E riflettendo su questo mi piace pensare che abbia contribuito a sviluppare il piacere del ricordo e quindi della memoria.
Di quel fare memoria, che troppo spesso invece di questi tempi viene lasciato da parte.
Quando ricordare appare un attività troppo invasiva, rischiosa, inutile.
Quando avere memoria, pare un esercizio vetusto, atto solo a chi è vecchio dentro, non vuole cambiare, non si fida dei tempi che cambiano.
Allora mi piace pensare che i nostri racconti aiutino loro a memorizzare, le cose belle, quelle brutte, gli errori fatti e le scelte giuste.
Che fare Memoria sia per loro un gesto moderno, innovativo, che non si fidino solo di ciò che è ora, che è presente, ma capiscano che la memoria come le radici, sono la base del loro futuro.
Senza memoria non sei curioso, senza sentire i racconti di vita vissuta di chi ti ha preceduto, non ti doti di sistemi critici, fai fatica a ragionare, ad affermare le tue idee e a sviluppare senso critico, a radicare le tue convinzioni su una base “immanente” di valori, che hanno costruito e costituiscono le tue ragioni ed anche le tue sicurezze.
Certo forse queste sono speranze di un padre e di una madre, forse lo scrivo più per gli adulti che siamo e la situazione sociale che viviamo, forse lo dico al bambino che c’è in me, ma il fatto che tra le materie preferite a scuola di entrambi ci sia la Storia, mi fa pensare che forse poi non sia solo una nostra illusione.