Le regole di FQCP non contemplano la pubblicità, e così io non ho detto da nessuna parte che io disegno.
I melograni sono miei, il logo l’ho scritto a mano e colorato al computer, i titoli anche, il font si chiama Aletypewriter, me lo sono inventata giocando con un programmino facile facile e non pensavo proprio avrebbe funzionato.
Ogni volta che ci inventiamo una sezione, un tema, un’inchiesta, io passo un sacco di tempo a pensare come fare un’immagine, poi magari non ho veramente il tempo per farla come vorrei, ma mentre faccio altro, penso sempre a come potrà venire.
Disegnare per Faccio Quello Che Posso mi cattura quanto scriverci, forse anche di più.
Mi sembra il modo per renderlo accogliente e invitare gli altri a partecipare.
Mi piace immaginare che questo diventerà sempre più un luogo collettivo, di condivisione, e che magari io pian piano mi farò da parte a parole, ma me lo vedo comunque vestito dei miei disegni.
Mi riempie di entusiasmo vedere i segni di matita, il tratto della china e gli acquerelli diventare qualcosa.
Ho sempre fretta di arrivare all’oggetto finito, e il blog è la via più veloce.
Ancora più soddisfazione mi dà quando riesco a mettere i miei pattern su qualcosa che si tocca.
Non ho però ancora avuto il coraggio di imbarcarmi nella produzione, ci sono arrivata più volte vicina, ma da sola, non riesco a fare il salto.
Così mi appoggio a dei siti americani che realizzano oggetti con sopra i miei disegni, ( con buona pace del km 0) faccio le borse e gli astucci qui, le stoffe, tappezzerie e carte da pacco qui.
Non è certo un ottimo sistema, io non ci guadagno quasi nulla, (circa un euro a borsa non ripaga certo il lavoro), ma nell’attesa di fare qualcosa di meglio e più vicino, la gioia di avere in mano la realizzazione di un mio disegno non ha paragoni.
Cosa c’entra questo con #raccontiamoinsieme?
Mi sono chiesta come mai per me scrivere e disegnare vadano così a braccetto, ma siano anche così diversi. E ho capito che insieme mi raccontano tutta intera.
I disegni parlano della mia parte muta. Sconosciuta anche a me. Non so mai veramente come verranno prima di averli finiti, sono una sorpresa. Non so neanche se mi piacciono o no. Non ho le parole per giudicarli. Posso solo accoglierli per quello che sono e voler loro bene come a un frammento fragile di me.
Ho bisogno di silenzio per disegnare, spesso anche la musica mi distrae, figurarsi i bambini.
E poi, in quello scampolo di silenzio faticosamente conquistato, la matita comincia a danzare sul foglio. Ne sento lo scorrere come un piacere raro. La grana della carta. Il liquido dell’inchiostro nel pennino. La punta del pennello nel colore.
Non so dove mi porterà, ma ogni volta è un viaggio a cui non posso rinunciare.
L’anno scorso, la prima settimana da emigrata, mi sono rotta l’anulare sinistro. La frattura inizialmente non mi è stata diagnosticata e il dolore alla mano si è prolungato per mesi. Non ho potuto disegnare, a malapena scrivere.
La tristezza e la nostalgia mi hanno avvolta tutt’autunno. Poi una fatina della mano ha cominciato a manipolarmi le dita, fino al giorno in cui non ho potuto disegnarle un biglietto.
Diceva solo merci, ma intorno ci avevo messo tutte le più minuscole foglie e i fiori che ero stata capace di disegnare.
Il mese dopo è nato FQCP.
*tornerò sul raccontarsi muto del disegnare. è una cosa a cui tengo molto.