Ho un sospetto sui compiti a casa…

succede a scuola le storie di Faccio Quello Che PossoCiclicamente si rinfiamma il dibattito sui compiti a casa.
Da quando poi siamo tutti genitori iperconnessi, la velocità d’accelerazione è quella di una navicella spaziale.
La opinioni si sprecano, i quotidiani pescano dai social e intervistano esperti per sfornare articoli ben mirati al centro dell’ultima discussione.

Io per la prima volta assisto a tutto ciò a distanza.
Aver messo le Alpi di mezzo, e aver respirato aria diversa per un anno, mi offre una prospettiva nuova, che stupisce me per prima.

Sono stata immersa fino alla vita nel fango dei compiti a casa, per otto anni, e mi sentivo Giovanna d’Arco alla guida delle sue truppe.

Siamo emigrati quando mio figlio maggiore aveva appena concluso gli esami di terza media, sua sorella la prima media, il piccolo la prima elementare.
A quel punto io avevo già fatto quattro volte la prima elementare, tre volte la seconda, la terza, la quarta, la quinta e la prima media, mettendo nel conto anche le mie legittime classi degli anni Settanta.
Di volta in volta io sono migliorata, ho sviluppato strategie organizzative, tabelle di marcia, programmazione ferrea, che bene o male hanno sostenuto i miei figli nella loro carriera scolastica e allontanato me dalla mia.

Non ho mai messo in dubbio che i compiti andassero fatti, tutti, il prima possibile per liberarsi del tempo per fare delle cose belle. Non si poteva arrivare a fine luglio senza aver finito, poi c’erano i campi scout e la tanto agognata settimana di vacanze tutti e cinque.

Mi fa senso pensarlo, ma credo davvero che i compiti a casa dei miei figli abbiano cambiato la mia vita, le mie vacanze di sicuro.

Ho messo al loro servizio tutte le mie competenze, anni di studio e ricerca universitaria, tre tesi, laurea, dottorato, master.
Di volta in volta si trattava di motivarli, aiutarli a organizzarsi, ascoltarli ripetere la lezione, appassionarli a una materia che spiegata solo sui libri non può che essere noiosa, attrezzarli davanti all’inutile sadismo di vari (troppi) insegnanti. E non ho mai pensato che non fosse mio dovere farlo fino in fondo, parte inscindibile del mio ruolo di madre.

Il momento dei compiti era il nostro cerchio intorno al fuoco, tutti insieme sul tavolo di cucina, ognuno con un problema diverso da condividere.

Ricordo l’estate 2008, da sola al mare con loro. Il più piccolo era in arrivo per Settembre, il grande aveva i suoi primi compiti delle vacanze, la sorellina avrebbe tanto voluto averne anche lei e ci dava il tormento. Io, con una pancia esagerata, ero scesa in paese e avevo comperato un quaderno a righe di prima, lilla con gli sbarluccichi. E le nostre mattine prima della spiaggia erano passate facendo i compiti insieme, anche chi non ne aveva. Era solo l’inizio.

Ora però che i miei figli vanno in una scuola pubblica, che per regolamento cantonale vieta i compiti nel fine settimana e nelle vacanze, mi ritrovo a guardare quei ricordi con occhi diversi.

Dopo un anno di nostalgia di tutto e tutti, anche dei compiti in cui potevo aiutarli, sta facendosi strada una gradevole sensazione di sollievo.
Forse ho visto troppe volte Tutti insieme appassionatamente e nel mio immaginario la Svizzera è ancora la via della salvezza.
Forse che in francese non posso più aiutarli tanto.
Forse che il primo giorno di scuola hanno tanto insistito sul fatto che non è obbligatorio andare all’università.

Fatto sta che io non ho più preoccupazioni per il futuro dei miei figli.
Ed è una cosa talmente nuova che non so ancora bene che conseguenze possa avere.

Ma di certo mi insinua un dubbio:

Ma non è che tutta quest’attenzione ai compiti e ai risultati scolastici dei nostri figli sia una delle mille forme che quella furbacchiona dell’ansia sa prendere?
Che tutto il tempo e il denaro, che io ho dedicato alla scuola e alle attività complementari,  fosse per il – malriposto – desiderio di attrezzarli al mondo?
E poi invece, è bastato venire qui, e in un anno e senza aggiungere un soldo, sono tutti bilingue e sulla strada per impararne altre due?

E non sarà che in realtà noi genitori in Italia abbiamo una, giustificatissima, enorme paura di cosa potranno fare in futuro i nostri figli?
Perché sotto sotto tutti sappiamo che il mondo che troveranno è molto più difficile di quello che abbiamo trovato noi e noi potremo fare per aiutarli molto meno di quanto i nostri genitori, con le dovute eccezioni, abbiano fatto per noi?
(perché non avremo la pensione, perché dovremo lavorare fino a cent’anni, perché i figli si fanno più tardi, le case costano di più…)

Allora l’unica cosa che ci sembra possibile fare adesso è supportarli nella carriera scolastica dal primo giorno.
Sperando così di esorcizzare la nostra ansia oggi e dare loro una possibilità in più domani?
E non è anche forse un po’, che un sistema scolastico che tiene genitori e figli chini sui libri fino alle dieci di sera, li mette sempre e comunque in difetto con obbiettivi irraggiungibili, ottiene così che ci si concentri sulla pagliuzza nell’occhio dell’allievo e non sulla trave in quello della scuola?
Un contemporaneo oppio dei popoli?

Dopo un anno in cui non ho dovuto comperare neanche un quaderno, perché pago le tasse e la scuola è dell’obbligo.
Non ho dovuto organizzare corsi di sostegno di nessuna lingua, anche se in tedesco non tutti brilliamo, perché, “Signora, di solito cerchiamo di fare tutto noi, a scuola”.
Non abbiamo ansia di aggiungere attività, perché con gli insegnanti lo sport si fa tanto e bene.
Il mio rapporto con la scuola dei miei figli è molto più distaccato.
E’ la loro scuola, io al massimo sono il coach di rinforzo.
Quando è arrivata la circolare per candidarsi in consiglio, non ho neanche considerato l’ipotesi, (a parte aver terrorizzato mio marito dicendogli di aver iscritto lui).

Intanto mi domando come io abbia potuto per ventiquattro anni scolastici (il totale dei miei figli) accettare di comperare carta igienica, sapone, pennarelli, di spendere centinaia di euro in libri che non potevo passare al figlio dopo, (mentre metà dei miei guadagni andava in tasse), che l’ora di sport fosse considerata un premio al buon comportamento e non fondamentale allo sviluppo fisico, sociale e mentale dei ragazzi, di non avere insegnanti madrelingua di nessuna lingua, di non sapere se avremmo avuto gli insegnanti all’inizio dell’anno, di avere il dubbio che la scuola fosse foderata di amianto, di vedere trasferire bravi insegnanti che avrebbero voluto restare e restare commessi ladri che non si potevano licenziare, di vedere chiudere le cucine e buttare via piatti di ceramica e posate di metallo, ridurre ogni anno il personale degli asili, prima una commessa per classe che scodellava il pasto caldo e lavava i piatti, poi una per piano, poi le pulizie in appalto e i piatti di plastica buttati con tutto il cibo dentro.
A vigilare sull’entrata dei bambini all’asilo avevamo all’inizio la signora Maria, che salvava il pane dalla mensa e lo distribuiva a tutti al pomeriggio dal suo grembiule, con buona pace di celiachia e norme d’igiene, ma con tanto amore. Alla fine avevamo Scilla e Cariddi che facevo le pulizie in appalto e si vendicavano di tutti i soprusi subiti spostando l’orologio dell’atrio, così la porta chiudeva alle 8,27 e la corsa dalla porta delle elementari in tre minuti era impossibile. Sulla porta appendevano cartelli che, per ragioni di igiene e sicurezza vietavano di appoggiare in atrio i monopattini mentre si accompagnavano i bambini. Così i monopattini venivano rubati e la gente magari poi veniva in macchina contribuendo alla salute di tutta la città.

Tutto questo è successo sotto i miei occhi. Come ho fatto ad accettare senza protestare sulla pubblica piazza?
Forse ero troppo stanca, a casa, a fare i compiti.

 

P.S. Comunque adesso non sono affatto stanca e se qualcuno avesse davvero voglia di fare qualcosa per la scuola italiana, io ci sto e ho parecchie idee, non tutte costose.

5 commenti

  1. Luca

    Un solo commento io lotterò finché posso per far capire che i compiti servono a poco se non nulla anno scorso messo sassolino quest’anno ho deciso Vajont ….
    Buona vita….

    • Alessandra Spada

      grazie Luca. Noi siamo qui. Per parlare di questo e tanto altro. Ma la scuola pubblica avrà sempre un posto speciale nel nostro cuore.

  2. Stefania

    Anche io lotterò per la scuola pubblica ma ci sono giorni davvero difficili in cui devo fare il lavoro delle povere impiegate che non ce la fanno in una realtà di deprivazione e sgomento ….Non so cosa potrò fare e invidio la realtà scolastica svizzera

    • Alessandra Spada

      Coraggio Stefania e grazie per quello che fai. Invidiare serve a poco e fa male a noi. A me comunque manca la nostra scuola e la nostra cultura, se mio marito non avesse fatto il pendolare per dodici anni e non fossimo stati tutti esausti, non sarei emigrata.
      Ora cerco di usare il mio nuovo punto di vista expat per guardare ciò che ho lasciato con occhi diversi e magari essere utile. Credo davvero serva un cambio di prospettiva.

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