La settimana qui si è finalmente conclusa.
Subito dopo la prima tristezza novembrina, abbiamo avuto una infilata di sgradevoli imprevisti che ci ha lasciati tutti un po’ stonati.
Ma forse stavolta la tristezza ha fatto il suo lavoro.
Una volta trovato il coraggio di non evitarla, ma di guardarci dentro ci si trovano un sacco di cose utili.
Mercoledì alla fine dell’allenamento di calcio, il giovanissimo coach in servizio da una settimana ha annunciato, come niente fosse, che quattro giocatori sarebbero stati spostati per andare a rimpinguare le fila dell’equipe di un anno più grande che era rimasta sguarnita.
Peccato che nessuno fosse stato avvisato prima e dei cinque che avevano giocato insieme tutto l’anno scorso, uno solo è rimasto indietro e quell’uno è mio figlio.
L’ultimo arrivato, quello che aveva riposto nella squadra tutte le sue aspettative d’integrazione.
Ora si trova a scuola con dei compagni di classe che tutti insieme sono stati avanzati e lui, riproiettato indietro di un anno, l’escluso.
Abbiamo provato a capire le ragioni della decisione, in modo da avere una qualche spiegazione da porre accanto alle lacrime disperate, ma non esistono ragioni particolari, forse addirittura lui è rimasto perché non potevano togliere tutti i bravi da una parte, ma nessuno glielo ha detto. Semplicemente loro non sapevano neanche che fosse appena arrivato dall’estero, né avevano considerato che restare fuori dal gruppo potesse essere un problema e davanti alla sua disperazione, impreparati, hanno ripetuto il disco: per il bene della squadra.
Si sa sono piccoli problemi rispetto al mondo, ma a otto anni sono enormi.
E la sua sofferenza fa sentire noi impotenti, con il seme del dubbio che ancora una volta conti essere arrivati da poco, non capire bene le cose.
La cosa più brutta è leggere nei suoi occhi, rispetto a un anno fa, la delusione, l’impressione che tutto lo sforzo fatto gli possa essere portato via in un soffio e la rinnovata richiesta di vedere i suoi amici italiani.
Mentre ci attrezziamo per reagire e rimpiangiamo l’allenatore deejay con un cuore grande come uno stadio, oggi in pausa pranzo il mio eroe arriva un po’ tardi:
– Mamma eccomi! Scusa il ritardo, sono dovuto passare a casa di L. a portargli i compiti, e lui stava guardando il calcio canadese e quando sono entrato hanno proprio fatto gol, vuol dire che gli ho portato fortuna.
– Ah bene, come mai L. non era a scuola?
– Eh ieri si è rotto una gamba, è caduto dalle scale, ma comunque il carattere è rimasto sempre lo stesso.
Ecco il piccolo L. è tra quelli passati di squadra, non dico altro, speriamo rientri presto, altrimenti potremmo anche preoccuparci…