Da qualche mese ci stavamo preparando.
Avevamo avuto un falso allarme in novembre.
Sapevamo che il contratto del papà di S. sarebbe scaduto quest’anno e che se non avesse trovato lavoro da queste parti sarebbero partiti.
S. è un piccolo americano che si crede svizzero. Lui ha sette anni ed è qui da tre. Ha sempre fatto le scuole in francese e la considera la sua lingua.
Ho conosciuto la sua mamma a bordo campo la nostra seconda domenica qui, ed è stata l’unica ad andare oltre il: Bonjour Madame!
Mi ha insegnato che con gli svizzeri bisogna essere coraggiosi e diretti, così ci si può fare degli amici. Lei è bellissima e ha un sorriso da fata, li guarda negli occhi e dice:
–Hello! I’m E. and we’ll be friend! You don’t know yet, but you’ll be my friend.
Abbiamo subito organizzato uno scambio di pranzi.
Così da un anno e mezzo, ogni settimana, il suo bambino ha giocato due volte con il mio T.
E’ l’unico che abbia dormito qui da noi e l’unico che abbia invitato a dormire T.
E. ci ha dato lezioni di pianoforte, e salvati in varie emergenze.
Quando siamo corsi all’ospedale per un’appendicite lei ha fatto dietrofront dall’autostrada ed è andata a prendersi il mio piccolo o per portarlo una giornata sulla slitta con loro.
Ci sono stati barbeque nel nostro giardino e pizze nella nostra cucina. Il mio venerdì libero era garantito dai pranzi di E. I pantaloni e le scarpe quando diventavano piccoli passavano a S.
Insomma dopo quasi due anni sono la cosa più simile a degli amici che abbiamo trovato, di sicuro per il nostro piccolo. Perchè con tutte le differenze, un bambino americano abbraccia e fa la lotta, si rotola nel prato e gioca a palla, raccoglie insetti e costruisce spade laser con il bamboo, in modo molto più simile a noi sudeuropei, di quanto non lo facciano i precisi e freddini bambini autoctoni.
Così quando da Cupertino hanno cercato il papà di S., noi abbiamo sperato solo un pochino che la cosa non andasse in porto. E abbiamo segretamente brindato con E. quando suo marito all’ultimo minuto non ha avuto il posto. Neanche lei vuole lasciare il loro bell’appartamento sulla collina. Dal balcone si vede tutto il lago e mai potranno permettersi un vista così.
Ma poi abbiamo scoperto che lui è diventato un ingegnere ottico altamente specializzato e non ci sono tanti posti qui. Perché qui le università sono chiare, quando hai finito di specializzarti devi fare la tua carriera altrove, solo così la ricerca può crescere, gli scambi si possono alimentare.
Quindi abbiamo cominciato a prepararci.
Abbiamo approfittato di ogni minuto.
Giocato a palla e fatto picnic sulla spiaggia fino all’ultimo giorno di sole.
Stampato due magliette con la stessa foto di due bambini su una slitta.
Disegnato due boomerang con gli stessi nomi, che partiranno per opposte destinazioni.
Inventato una mappa in cui Milano, il lago Lemano, e l’Oregon stanno nello stesso foglio. E nove ore di fuso orario non sono un problema.
E oggi pomeriggio il momento è arrivato.
Io ho preparato la mia classica torta al cioccolato. Lui è arrivato con la sua collezione di personaggi Star Wars che non può portare con sé e ci lascia in eredità.
Ora stanno cercando insetti da guardare al microscopio, e non si meravigliano neanche un po’ di trovarne di enormi nel mio soggiorno.
L’aereo è domattina e stiamo cercando di incastrarci anche uno sleepover.
Poi vedremo.
Ma i bambini e l’universo hanno risorse inimmaginabili.
Oggi T a pranzo:
– Mamma sai che finalmente ho conosciuto il mio nuovo compagno di classe. Si chiama D, viene dalla California, ma la sua mamma è svizzera. Ha anche un fratello simpaticissimo che fa con me il corso di francese. Parlano con un accento inglese abbastanza buffo. Ma giocano benissimo a calcio e anche a basket.
Possiamo sperare che il paese a stelle strisce ci abbia mandato due amici in cambio di quello che si è ripreso.