Sono la mamma di un eroe, ma non so quanto mi stia bene.
Io non l’ho chiesto, non l’ho voluto, non ho fatto nulla perché accadesse.
Le mamme degli eroi non fanno una grande figura.
Di solito sono a casa a preoccuparsi, nei film ricevono spesso la visita di uomini in divisa con brutte notizie, non mi risulta abbiano una loro vita e brillino di luce propria. Non credo siano serene.
Però se scrivo questo post, se metto in piazza cose personali della mia famiglia, stavolta è per una vera ragione di servizio:
COMPRATE AI VOSTRI BAMBINI UNO, O DUE, GIOCATTOLI IN MENO, MA CHE SIANO DI STRABUONA QUALITA’
punto.
Due natali fa per noi era il primo da emigrati. Volevamo che i nostri figli lo ricordassero come fantastico, anche più degli altri.
L’autunno era stato durissimo, niente amici, molta nostalgia, scuola incomprensibile.
Noi ci sentivamo in colpa, e volevamo rimediare. ( evitiamo di fermarci sui limiti di questi sentimenti, perchè lo so, ma almeno una volta ci cadiamo tutti)
Le nostre finanze erano ancora provate dal doppio trasloco, ma volevamo lo stesso che avessero tutti un regalo speciale.
Per i grandi avevamo tentennato un po’, era noto che avrebbero voluto entrambi uno smartphone più nuovo, ma il rapporto costi benefici era al di là dei nostri limiti morali.
Alla fine avevamo deciso che con quasi la stessa spesa avrebbero entrambi avuto un computer portatile che sarebbe durato fino alla fine del liceo, e che questo era un messaggio che ci somigliava di più.
Il piccolo era facile, lui voleva, da sempre, la porta di calcio.
Ma era dicembre e l’articolo era considerato stagionale. In più noi arrivati da poco non conoscevamo bene i negozi, e avevamo davvero poco tempo per girare.
Così quando in un grande magazzino di giocattoli avevamo trovato un rimasuglio dell’estate, una porta leggera ed economica, con anche il telo coi fori per allenarsi, poca spesa, tanta scena, avevamo pensato di essere stati fortunati. E la Befana aveva fatto la sua figura.
Solo che ieri, dopo un anno e mezzo, quella porta ha amputato un pezzo di mignolo di nostro figlio, e noi non ce lo perdoneremo mai.
Era una bellissima giornata di sole, qui era vacanza, il ponte dell’Ascensione, tre giorni di scuola chiusa e meteo a favore.
Grandi programmi per chi non ha esami all’orizzonte.
A pranzo in giardino avevo cinque bambini e due adolescenti. Un chilo e mezzo di spaghetti era andato in serenità. La partita era ripresa con ancora più energia.
Un giocatore cerca di sistemare la porta, i due tubi infilati uno nell’altro si sfilano, e si richiudono tranciando di netto il dito.
Il giocatore grida ma non perde un minuto la lucidità. È lui a dire:
– Ahh, mi si è staccato un pezzo di dito!
È lui a dire a sua sorella il numero dell’ambulanza, mentre sua madre cerca di fermare l’emorragia, perché a scuola e agli scout ha fatto il corso, e in casa è da sempre lui quello che ricorda i numeri.
È lui a ripetere:
– Ne manca un pezzo!
Finché suo fratello non lo trova ancora tra i due tubi della porta, e lo mette nel ghiaccio.
Ha un solo momento di debolezza e rischia di svenire, ma è già in braccio alla mamma, con i piedi e la mano in alto.
Quando arrivano gli angeli dell’ambulanza la sua mamma fa fatica a lasciarlo, devono dirglielo due volte, – Signora adesso ci siamo noi, può lasciare la mano. E allora è lei che sta per svenire.
Ma quando chiedono a lui, in un scala del dolore da 1 a 10 dove si trova, lui risponde in perfetto francese:
– Credo a otto.
E la sua mamma vorrebbe gridare: “No! Otto sono i tuoi anni e tu non hai ancora pianto, e non è possibile che il male sia a otto, mentre il tuo dito è a metà nel sacchetto! Perché io lo so dov’è il mio dieci, è quando tuo fratello non voleva uscire dalla mia pancia, perché aveva il cordone due volte intorno al collo, e la dottoressa K è andata a prenderlo per i capelli e lo ha fatto girare. Dopo quel male lì tutto il resto è stato in discesa. Ma tu sei un maschio, e io non posso immaginare dove sia il tuo dieci, se non qui e ora, che dovrebbe essere un dodici, non una cosa che ce ne possono essere di peggio! E se ce ne saranno di peggio soprattutto io non voglio esserci! “
Ma lui non mollava e una sola volta ha detto:
-Ma io non voglio un dito più corto. Mi vergogno.
E io avrei voluto dare lì subito la mia mano, in cambio del suo dito, ma non funziona così.
E poi gli infermieri gli hanno dato da sniffare della roba buona, e mentre andavamo in ospedale il dolore è sceso a sei sulla prima ambulanza.
Poi a cinque nel reparto di chirurgia della mano.
Poi ha cominciato a far ridere l’infermiera tatuata raccontando barzellette in francese.
E sulla seconda ambulanza a parlare del campionato con l’infermiere enorme e nerissimo, ma purtroppo milanista.
Prima di entrare in sala operatoria è rimasto un momento solo con l’infermiera, io stavo per farmi la pipì addosso e nessuno mi aveva dato da sniffare roba alla fragola, e quando sono rientrata ho capito che aveva regalato a lei la sua paura più grande:
-Ma potrò ancora suonare il piano?
Perché a otto anni questo eroe vuole proteggere la sua mamma dalle sue paure, e a me si spezza il cuore, oltre a montarmi la paura a scala venticinque.
PS. L’intervento è durato cinque ore, ma purtroppo il pezzettino non è riuscito a vascolarizzare, per fortuna sembrano salve le tre articolazioni. Si cercano quindi storie di eroi, musicisti, ma non solo, che l’abbiano fatta senza un pezzettino. So che al mondo c’è di peggio, ma adesso noi è a questo che dobbiamo far fronte. Ora siamo a casa.