Lo scorso 30 ottobre, Time affronta il mito della maternità ed esce con il titolo: The Goodness Myth,
http://time.com/magazine/us/4989032/october-30th-2017-vol-190-no-18-u-s/
L’articolo sostiene che la maternità viene vista e veicolata dai media come un momento d’estasi perfetta. E che la stessa immagine di “maternitudine” viene riproposta dalle madri, che nascondono così le loro problematiche, le loro debolezze, i loro bisogni. Ne consegue che spesso le madri vengono sopraffatte da aspettative che esse stesse auto-alimentano.
Non c’è niente di perfetto nella maternità. Questo l’ho scoperto dieci anni fa: ti infiocchettano il pacchetto “mamma” e ti dicono “adesso devi essere la donna più felice di questo mondo”. Io invece mi sentivo perduta. Guardavo il mio bambino come se fosse un alieno e tentavo di essere madre, in un momento in cui avevo appena smesso di essere figlia.
Non ero felice. E questo già faceva di me una cattiva madre.
Non so come ho fatto a uscire dal tunnel in cui ero caduta. Abbiamo fatto tanti passi, io e mio figlio. Piangevamo e camminavamo, petto contro petto, la sua testa sul mio collo. Forse mi sono salvata grazie ad un consultorio pubblico dove c’erano donne meravigliose che si sono prese cura della mia testa e delle mie mastiti. Ho saputo che l’hanno chiuso, o forse ridimensionato. Perché le cose buone da noi, si sa, si ridimensionano.
Mi sono salvata. Ma so che avrei potuto non farcela. Che non ci sarebbe voluto nulla per cadere dall’altra parte della china. E comunque, quando guardo mio figlio, ancora mi sento in colpa per quei giorni disperati.
Penso che se vogliamo fare una battaglia di civiltà, dobbiamo prenderci cura delle madri. Le madri sono più sole di quanto si pensi. E smettiamo di veicolare l’immagine della maternità come uno stato di beatitudine.
No lo è.