La Storia racconta che il 2 giugno 2015, poche settimane dopo aver deciso di emigrare, approfittando del ponte vacanziero, la famiglia B sia venuta in visita alle nuove scuole svizzere, abbia incontrato tre diversi doyen, che sarebbero come dei vicepresidi ciascuno responsabile di un biennio, e abbia scoperto che non avrebbe dovuto acquistare neanche un quaderno, perché tutti i materiali sarebbero stati forniti dalla scuola.
Piuttosto soddisfatti di questa visita, ma ancora enormemente preoccupati di tutta la faccenda dell’emigrazione, avevano poi deciso di festeggiare con un picnic in spiaggia, ché mica se lo aspettavano che davanti a scuola ci fosse una spiaggia vera, e avevano scattato molte foto che rimarranno a ricordo di quella memorabile giornata.
L’unico dettaglio da correggere riguardava la bizzarra informazione declamata dal preside al figlio maggiore, secondo quale in Svizzera non è obbligatorio andare all’università come molti stranieri credono, di conseguenza non è neanche necessaria la maturità. Informazione prontamente corretta dal pater familias che all’annuncio aveva rischiato l’infarto, e ha subito chiarito che in casa nostra siamo molto democratici, ma alla maturità ci arrivano tutti senza discussioni.
Dopodiché restava da risolvere l’importante questione dell’inclassamento come lo chiamano qui, cioé dove sarebbero stati inseriti i ragazzi, il ché non era automatico, ma un alchemico incrocio di corrispondenza sistemi scolastici, date di nascita ché qui anche il mese conta, livello di francese perché dai tredici anni si è orientati per merito.
Quindi solo un incontro col direttore dei direttori, il capo supremo di tutto l’istituto di bambini dai 4 ai 15 anni, poteva dare risposta definitiva.
A quell’incontro mi sono presentata inforcando tre brillanti pagelle, avvinghiandomi al mio stentato francese e agli orecchini di mia nonna che mi sostengono sempre nelle grandi occasioni.
Sempre la Storia narra che l’ignaro direttore abbia tentato di dire che, visto che i miei figli erano tutti nati in autunno e qui le classi si fanno coi nati entro il mese di luglio, e considerato che non erano francofoni, sarebbe stato meglio ripetessero l’anno, che alla fine non sarebbe stato un problema perché il sistema scolastico dura un anno di meno. Ciò significava quindi che il mio piccolo avrebbe dovuto ripetere la prima elementare, e invece di andare con sua sorella nella scuola sotto casa, avrebbe dovuto prendere il pullmino da solo e recarsi nella scuola del villaggio accanto.
Qui gli storici si dividono, e le cronache non sono uniformi.
C’è chi afferma che io abbia esordito con un “Monsieur!” dal tono impetuoso quasi dittatoriale e abbia proseguito sventolando la pagella sotto il suo naso “mais vous avez regardé les bulletins?!” E abbia cordialmente spiegato che mio figlio non poteva certo ricominciare a imparare A, B, C, che sarebbe scappato da scuola per la noia.
Chi invece sostiene che io lo abbia direttamente morso alla giugulare.
Fatto sta che l’ignaro direttore si è rapidamente mostrato meno ignaro, ha confermato che aveva visto che la pagella riportava solo 10/10 e che forse un posto in seconda nella scuola sotto casa si poteva trovare, e avremmo potuto rimandare la valutazione sulla necessità di ripetere l’anno. A Natale 2015 il mio bambino non aveva più insufficienze e la questione si è risolta da sè.
Nei due anni successivi ho avuto a che fare con il direttore solo mentre ero in condizioni di stress emotivo.
Una volta quando mio figlio maggiore è tornato con un occhio nero e il direttore mi ha telefonato per chiedermi di portarlo al pronto soccorso e pensare se non fosse il caso di sporgere denuncia.
La seconda il giorno dei diplomi dopo che avevo scolato un bicchiere di vino rosso a stomaco vuoto.
L’ultima quando abbiamo deciso che l’estate prossima traslocheremo nuovamente e ho dovuto chiedergli di lasciare che mia figlia finisse l’ultimo anno e il diploma nella sua adorata classe.
Bene, venerdì mattina l’ignaro direttore si troverà sotto il naso una mia proposta di laboratrio d’italiano.
La professoressa che me lo ha chiesto è entusiasta e so che lo presenterà al meglio.
Una parte di me spera di non averlo davvero morso alla giugulare, ma non ne sono certissima.
La Storia insegna che prima o poi si potrà sempre trovarsi dall’altra parte.