Facebook mi ricorda che un anno fa pubblicavo questo post sulle scarpe di mio figlio minore, per dovere di cronaca posso fornire documento fotografico odierno a riprova del fatto che da queste parti le scarpe sono ancora fatte per consumarsi.
Quest’ anno le prime a cedere sono state le stringhe della scarpa destra, stremate dall’ininterrotto scalciare del piede sinistro, che preda della furia da pallone non trova pace e non si ferma davanti ad alcun ostacolo, non sia mai una stringa slacciata.
A seguire ovviamente ci hanno abbandonato le punte delle scarpe, esauste dopo mesi di grattuggia sull’asfalto della strada, il cemento del marciapiede, il prato sintetico del campo della scuola, tutto sempre con un pallone al piede.
Così anche quest’anno la rinomata marca italiana, casual chic, con pretese tecniche, non ha superato il nostro crash test.
Perché qui non si fa vita da milanesi, e per quanto io rimpianga i caffé con le amiche davanti a scuola, dopo aver baciato davanti al cancello i nostri bambini stirati, che quando erano in disordine ci veniva quasi da scusarci, qui si cresce più selvaggi e forse alla fine più sani.
Qui mi tocca fare il genitore in una maniera più classica, tipo quella che mette dei limiti, che no, non si può stare in giro per campi dopo che fa buio, e sì se la maestra ti assegna un testo dal titolo ” come ci si comporta a scuola”, me lo devi dire, anche se hai dei voti strepitosi e anche se il testo te lo sei fatto in autonomia in camera tua. Perché io sono tua madre e ho il dovere e il diritto di sapere, e di firmare le note, soprattutto se la maestra ha dovuto pinzare un foglio all’agenda per scrivermi tutto un papiro su come sei agitato a scuola, e come alla visita al forno hai fatto un caos e spalmato cioccolato dappertutto.
Ecco ogni volta devo fare uno sforzo per non ridere, perché io da piccola ero un sacco da sola davanti alla tv, e tutti i pomeriggi c’era il telefilm in bianco e nero le simpatiche canaglie, e ora le monellerie che combina questo mio ultimo figlio, che cresce libero per campi, mi sembrano cose d’altri tempi.
Ma questa nuova versione di genitore campestre, nell’immediato è più faticosa, devo davvero tenerlo d’occhio ché quello a nove anni crede di essere maggiorenne, ma guardando lungo è una gran cosa, perché vuoi mettere fare a testate in allegria, per mettere dei limiti a uno libero e selvaggio, con il preoccuparsi tutti i giorni per l’aria che respirano o il rischio che vadano sotto una macchina? O doversi arrabattare per trovare un sport che vada bene, altrimenti non fanno neanche un po’ di movimento? E poi tutta questa autonomia è tutto di guadagnato per il futuro, si passa prima dall’accudimento al controllo, tocca solo fare un paio di precisazioni sulla fiducia.
Ieri nella stessa giornata abbiamo ricevuto la pagella strabiliante del piccolo, una lunga nota della sua maestra preoccupata per come si comporterà settimana prossima al campo di sci, la pagella zoppa del grande, il colloquio con il suo professore che ci ha garantito che è un ragazzo veramente in gamba, che farà grandi cose, che è ovvio che con il francese ci siano ancora delle difficoltà, e che sarebbe davvero un peccato che perdesse un anno, anche perché è capitato in una bellissima classe.
Per fortuna una madre non deve scegliere tra i propri figli, perché davvero non saprei per chi preoccuparmi, tra uno che ha voti pazzeschi e ritiene la disciplina una perdita di tempo, e un altro tanto bravo ragazzo, con le scarpe sempre pulite, che soffre su ogni problema di matematica. In mezzo loro sorella naviga serena prendendo il meglio da entrambe le posizioni.
Ciascuno ci mette del suo, e sicuramente i caratteri sono diversi, ma nulla mi toglie l’idea che una parte la giochi anche il crescere più urbani, forzatamente repressi, o liberamente campestri, a consumare scarpe in un mondo i cui i grandi ci sono solo per controllare, e in fin dei conti, rompere le scatole.