In Italia è finita la scuola e anche noi qui volevamo festeggiare.
Anche se di scuola ne abbiamo ancora per un mese, viviamo accampati tra gli scatoloni e avremmo una lista di cose da fare che non contempla certo “stare seduti sul divano a guardare un film”. L’aria di vacanza dei nei nostri amici è arrivata fin qui.
Quindi dopo dieci ore (sic) di torneo di calcio e una serata sola coi maschi all’orizzonte, ho deciso che era il momento di un bel film in famiglia.
Di solito la fase critica è quella della scelta del film, il livello di conflitto ci fa spesso passare la voglia, accontentare tutti é difficile si sa, gli adolescenti sono polemici per natura, i fratelli litigando sviluppano competenze sociali, etc etc
Ma francamente metterci mezz’ora di discussione per scegliere un film da un’ora e mezza va al di là della mia sopportazione.
E ci vuole un film che vada bene per i minori di dieci anni, che quelli di sedici non giudichino una boiata, che quelle di quattordici non trovino noioso, che di nuovo quelli di sedici non trovino idiota, che nessuno abbia già visto o che, in caso di assenti, non ci rimangano male se lo si guarda senza di loro…
Così ieri sera ho deciso d’imperio e con i tre maschi di casa mi sono accomodata davanti a Gifted
Un delizia di film che tratta il tema dei bambini iperdotati e della loro fragilità emotiva. La responsabilità del talento versus il bisogno di una vita normale. Una nonna e uno zio in conflitto per la custodia di Mary la cui mamma Diane, a sua volta iperdotata matematica, si è tolta la vita.
Lo consiglio a tutti.
Di fianco a me i miei ragazzi si erano spaparanzati con il consueto livello base di polemica. Del tipo “che palle l’ha scelto la mamma, sarà noiso”, “di sicuro parlano tanto e si baciano, poi si piange anche”, ” non ci sarà neanche una sparatoria e ci faranno la morale”, “va beh se proprio devo fare qualcosa in famiglia che poi me ne vado per un anno in Inghilterra, mi sacrificherò” “ecco ora lo metti pure in inglese che io non ci capisco nulla solo perché lui deve fare allenamento”.
Ma io imperterrita ho dato il via al cinema tra gli scatoloni. E man mano che le immagini scorrevano sentivo sulla pelle le emozioni accanto a me trasformarsi.
La scena iniziale è un classico familiare, il risveglio e la colazione di una bambina recalcitrante che non vuole andare a scuola. Sbuffa, protesta, la scuola è noiosa, gli altri antipatici, non serve a nulla, i cereali non le vanno.
E in quattro minuti di girato i miei figli erano già in quella casa, con Mary.
E il piccolo si specchiava, mentre il grande riconosceva suo fratello, quello che a scuola si da le arie perché sa già tutte le risposte e i suoi compagni non sanno neanche chi sia Giulio Cesare, e la matematica non ha bisogno di studiarla. Ma anche quello che ci fa ridere tutti e ha passato l’esame del conservatorio con 9/10 a un anno esatto dall’incidente alla sua mano.
E al momento di salire in camera sua ci ha chiesto:
-Ma davvero esiste quel muro con le facce di quelli che hanno risolto i problemi di matematica più difficili?
–Non lo so tesoro, immagino di sì, ma noi preferiamo stare tra i normali.
E in un colpo solo ho risposto anche a mio marito che la mattina mi aveva chiesto:
-Ma con tutto quello che abbiamo da fare non capisco perché te ne vai anche dieci ore al torneo di calcio?!
Perché io lo so che potrei spingere l’acceleratore della performance, e se fossi rimasta in Italia forse sarei al parco a bearmi dei risultati scolastici del mio bambino. Ma vederlo ieri allo stadio di Losanna, sotto un sole esagerato per queste latitudini, accanirsi dietro a un pallone per dieci ore di seguito. Perché le squadre erano 28 ma noi anche nelle pause del torneo giocavamo ai tiri in porta.
E vederlo in questi anni crescere all’aperto, sempre lurido, con scarpe e pantaloni infangati, giocare nella squadra di calcio del villaggio che accoglie tutti. e arrivare felicemente diciannovesimi mettendoci l’anima fino all’ultimo minuto. E poi crescere in classe con bambini di quindici nazionalità, almeno un paio a testa, che non saranno mai come i miei amici di Milano, ma intanto imparo a conviverci. Mi ha dato una bella sistemata alla vanità di madre e confermato di aver fatto la scelta giusta.
Perché l’infanzia è una sola ed è il fondamento di tutto quello che sarà.
Le performance possono attendere.