La mamma dell’eroe anche no grazie.

Se qualcuno ha qualche santo preferito a cui accendere un cero, per noi oggi è il giorno buono, ma mi raccomando un cero bello grosso tipo quello che fa portare l’ateo Peppone a spalle dai suoi col fazzoletto rosso al collo.

Oggi siamo stati M-I-R-A-C-O-L-A-T-I.
Solo adesso a tarda ora riesco a chiamare le cose col loro nome. Oggi mio figlio (non) è stato investito da una macchina.

Di tutta questa storia a lietissimo fine, la cosa più stupefacente è il punto di vista dei bambini, a cui non ci abitueremo mai abbastanza.

H. 15,40 uscita da scuola.

Di solito prima delle h 16,00 non lo aspetto, o almeno non mi preoccupo.

Talvolta esco in giardino, altre guardo dalla finestra, oggi no, ero in sala e stavo lavorando al computer, c’era un bel sole, era venerdì e non avevamo impegni, una settimana faticosa alle spalle, una serata tranquilla davanti.

h 15.55

– Mammaa!

La voce non è esattamente la solita mentre sale i gradini con il monopattino in mano, non capisco cosa sia, ma mi alzo dal computer e vado in veranda a vedere.

-Son qui tesoro, cosa succede?

– Eh, mamma guarda la trot (francesismo da trottinette, monopattino) si è rotta e un signore mi ha dato questo biglietto.

-???

– Eh, lui è passato con la macchina e mi ha rotto la trot e allora mi ha dato il suo biglietto e mi ha detto di mandargli la fattura della trot.

-Scusa, amore, puoi spiegarmi un pochino meglio, che non ho capito? Dov’è questo signore?

-Eh, ora se ne è andato, ma mi ha detto che la paga lui  la trot, ero qui davanti sulle strisce e lui è passato e mi ha stortato la trot, allora mi ha dato il biglietto.

– Certo amore, dammi pure il biglietto di questo signore, ma scusami davvero io faccio fatica a capire, un signore ti ha preso sotto la trot con la macchina e non ha chiamato la tua mamma?

– No, ma mi ha chiesto se mi ero fatto male e io gli ho detto di no, perché era vero, ma adesso il piede dove è passato con la ruota mi fa un po’ male. E poi mi ha chiesto dove abitavo e io gli ho detto qui davanti allora lui mi ha dato il biglietto e se n’è andato.

– Scusa tesoro, vieni dentro un momento e mettiti seduto, per favore togliamo la scarpa e fammi vedere il piede, intanto ecco una fetta di torta. Mangia con calma poi provi a raccontarmi un altra volta per benino cosa è successo, perché la mamma oggi non capisce molto bene le cose.

A quel punto facevo davvero fatica a misurare l’entità di quello che era successo e l’incredibilità dell’evento, ma il piede non sembrava rotto ( non lo è) e il suo appetito davanti alla fetta di torta sembrava escludere altri danni.
Ma le cose non mi tornavano e una brutta sensazione di disagio, mi stava entrando sottopelle, una cosa che purtroppo riconoscevo bene, come quando si è subìto un abuso.
Ho preso il biglietto da visita, non riuscivo a leggere neanche il nome, solo che c’era scritto Orchestra Jazz e il nome di un paese più a nord. Ho telefonato e inveito educatamente, più che altro perché il mio francese non comprende grandi improperi, contro un signore che asseriva che non era assolutamente sua intenzione non fermarsi. A quel punto il campanello nella mia testa sono diventate delle campane.
Ho messo giù il telefono e dopo rapida consultazione con il pater familias, ho chiamato la polizia locale per chiedere il da farsi.

h. 16,20

– Buongiorno, mi scusi se vi disturbo, ma è successo un fatto a mio figlio tornando da scuola e non so se devo segnalarlo a voi o no. (Segue mia descrizione di quanto avevo capito dalla bizzarra descrizione della vittima).

-Signora, si tratta di un incidente stradale, le mando subito una pattuglia, ha fatto benissimo a chiamarci.

h 16,30

Dopo dieci interminabili minuti di attesa, durante i quali la vittima temeva che avrebbero fatto una multa a lui, e io realizzavo qualche pezzo in più dell’accaduto, vediamo arrivare una scintillante volante.
A quel punto, nonostante la paura, il ghiaccio sul piede, l’arnica in bocca, al malcapitato è quasi scappato un sorriso. Subito trasformatosi in timore reverenziale quando dal cancello sono entrati due gendarmi taglia 2×1, con mascella squadrata, testa rasata e maschera di ghiaccio.

I due armadi di muscoli, con tutti i loro stivali e pistole, sono entrati nella nostra cucina, mi hanno chiesto due informazioni rapide e poi uno si è seduto al tavolo con noi a compilare i documenti con i nostri dati ed era talmente alto che anche da seduto sembrava in piedi.
L’altro, poi qualificatosi come il capo, intanto chiamava via radio la centrale e dava le coordinate del nostro baldo jazzista.
A tempo di record dalla centrale gli hanno inviato foto frontale di un signore bizzarro, con i capelli di Einstein e un’aria quasi simpatica, che un po’ mi dispiaceva per lui. Ma il mio piccolo eroe ha riconosciuto senza esitazioni il guidatore, quindi siamo passati al fase cruciale delll’indagine: la testimonianza.

Prima che cominciassero ho dovuto leggere il foglio con i nostri diritti a cui ho fatto una piccola aggiunta:

– Monsieur, bisogna che gli sorridiate.

A quel punto, la maschera di ghiaccio in cima ai due metri, si è sciolta in sorriso e di nascosto dal capo ha sfoderato sotto il tavolo, a uso e consumo privato del testimone, il suo telefono sul cui salvaschermo lo si vede insieme ai suoi bambini accanto all’albero di Natale.

– Non li mangiamo i bambini noi.
Ha detto con un vocione, poi si è fatto raccontare cosa era successo. Risentire la vocina che in un francese impeccabile descriveva gli eventi in dettaglio, compreso per quanti metri l’auto ha trascinato il monopattino, è stato da brivido vero.
Ma lui non ha perso un battito, ha anche partecipato alla rilettura del verbale e correttolo perché avevano indicato il piede sbagliato.

Di comune accordo abbiamo deciso che era meglio andare al pronto soccorso ed ecco che ex maschera di ghiaccio è salito nell’empireo sempiterno dei nostri supereroi annunciando:
– Se non arriva suo marito con la macchina, vi possiamo portare noi all’ospedale. Così fai anche la foto sulla volante e la puoi far vedere ai tuoi compagni di scuola.

E così è stato.
L’eroe e la sua mamma sono stati scortati al pronto soccorso, dove dottori e infermieri piuttosto basiti hanno constato il miracolo e dichiarato illeso il paziente.
Alle h 18,30 abbiamo potuto chiamare il babbo che tornando dal lavoro ci venisse a prendere.

Solo in quel momento il giovane miracolato si è lasciato scappare:

– Mi gira un po’ la testa.

E la mamma ha fortemente desiderato un superalcolico.

Mai migliore occasione per dire: tutto è bene quel che finisce bene.

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