Venerdì sera la mia ragazza è tornata dal campo di sci con la sua classe.
La partenza era stata lungamente preparata e discussa, l’infinito dibattito sulle scarpe aveva prodotto profonde riflessioni sul ruolo dei genitori di adolescenti, la preparazione della valigia aveva testato la solidità delle relazioni tra fratelli.
Poi finalmente lunedì mattina alle 7,30 il suo babbo l’ha accompagnata al pullman, si è meravigliato delle faide tra ragazze, (beata ingenuità, del babbo), e finalmente alle 8,00 sono partiti, che alle 12 erano già attesi sulle piste.
Dopodiché una sola telefonata, esplicitamente richiesta, la prima sera.
– Ciao tesoro, tutto bene?
-Sì, bene.
–Hai sciato? Com’è andata? In che gruppo sei?
–Sì bene sono nel moyen 2, ma va bene così, perché nell’avancé c’è M e vanno troppo veloci.
-E la camera? quante siete?
-Bene, siamo solo noi quattro.
– Perfetto, allora non hai bisogno di nulla, se non ci sono problemi ci sentiamo venerdì quando arrivi.
E per me sinceramente la faccenda si chiudeva lì. L’ho sentita serena, una bella voce, era in camera con le sue amiche, che se la organizzavano da mesi, lei doveva portare la piastra dei capelli, G. il phon, le altre due non voglio sapere cosa. E tutte insieme erano riuscite ad alzare la mano al momento giusto e assicurarsi di dormire insieme. Nessun bisogno di chiamare casa, io alla sua età non avevo il telefono.
Ma i maschi di casa non si davano pace, “notizie?”, “ma come non l’hai sentita?”, ” ma te ne freghi?”
Così venerdì mattina mi sono fatta degli scrupoli, avevo deciso di chiedere alla mamma di G. se poteva riaccompagnarla lei, così il babbo poteva portarsi il millennium all’università ché in serata doveva partire per Milano. Invece non ho resistito:
–Senti ma se la vado a prendere alle cinque e poi passo a prendere te in ufficio e ti lascio la macchina?
-Ma certo, tanto io non finirò mai prima delle sei.
Quindi alle 15,45:
-Ragazzo fai merenda che se vuoi poi mi accompagni a prendere tua sorella e tuo padre.
– Sì bello!
–Aspetta che controllo se arriva alle 17 o 17,30… Argh, molla la merenda! Arriva fra un quarto d’ora! Salta in macchina!
PLIM PLIM PLIMPLIM (suoneria a lei dedicata)
–Rispondile che io sto guidando, due minuti e siamo lì, vedo già il lago, dille che se guarda in su ci vede arrivare….
….
– Evviva! Bentornata! Che bella sei, abbronzata, che belle trecce chi te le ha fatte?
–mmpf, mi tieni questa che pesa?
–Ecco qui, hai salutato il tuo fratellino?
–sgrunt, ciao. Sono morta.
–Tesoro, posso ricordarti che sei appena tornata da una settimana di vacanza.
–Risgrunt.
E il pomeriggio è proseguito su questo tono, con il mio fastidio contenuto sempre più a stento, fino all’arrivo del genitore in partenza, che per quanto di fretta ci teneva a mantenere il suo ruolo di preparatore atletico e saggiare i progressi tecnici.
-Allora hai sciato bene?
–Mmf, con quelli sci…
–Cos’hanno quegli sci, sono i migliori della famiglia, gli unici di livello race?
–Sono vecchi, rotti, e poi ero l’unica con gli sci da maschio! E mi hanno presa in giro tutto il tempo. E anche quella giacca è goffa, da maschio! E l’avevo scelta solo perché era la meno cara del negozio e poi la potevo passare a mio fratello!
A quel punto il preparatore atletico, punto nell’orgoglio della sua disciplina preferita, ha cominciato a porre domande sull’attrezzatura delle altre sciatrici e davanti agli occhi blu pieni di lacrime della sua bambina, si stava avviando sulla china pericolosa del tu non sai chi sono io, mia figlia non avrà nulla di meno delle altre, se vieni a sciare sempre col tuo babbo ti compro gli sci rosa…
Da parte mia, sarà stata l’irritazione accumulata nel pomeriggio, o il fastidio per il rimbesuimento paterno davanti a un capriccio colossale, ho cominciato a ululare un (inutile) pippone sul fatto che anche se potessimo permetterci un paio di sci nuovi io quei soldi li porterei altrove.
Che ci sono suoi coetanei che in questo momento stanno scalando le stesse piste dove lei ha imparato a sciare da piccola, e lo fanno a piedi nudi per raggiungere il confine francese dopo aver attraversato il deserto e il mare.
E la nostra famiglia ha dei valori e con i soldi di un paio di sci nuovi, io avrei comperato parecchie paia di scarpe che avrei portato immediatamente in Val di Susa. E che da lei certi discorsi non li volevo sentire, che è una scout, e che se le altre si fermano a guardare gli sci, peggio per loro, e se torna da una settimana in albergo e si lamenta vuol dire proprio che non ha la misura di come gira il mondo.
Sono arrivata persino a chiederle se sapeva come si riciclano gli sci e dove sarebbero finiti se lei li avesse buttati via.
Poi sono riuscita a frenare, e a guardare il suo faccino smarrito e mi è rimasto solo da abbracciarla e accogliere il suo disagio e a dirle che mi dispiaceva, ma che non sarebbero mai state le cose possedute a metterla al riparo da quel disagio, che qualche M. sulla sua strada l’avrebbe sempre trovata, ma per quello ci si può attrezzare, nell’animo.
Dopodiché domenica sono arrivate le azzurre, che senza neanche un’ombra di rosa sugli sci, hanno conquistato il podio, e senza tanti pipponi materni hanno mostrato che conta più cosa si fa di come si appare. E per questo avranno la mia gratitudine eterna.
Confesso però che in mezzo c’è stato sabato, e mentre loro erano dagli scout, io sono caduta nei saldi e l’ultima giacca da sci da bambina, scontata del 70%, mi è caduta in mano, e con 35 franchi ho restituito il sorriso a mia figlia. Perché io di M ne ho affrontate tante nella vita, ed ero sempre quella strana, e lo so che con la giacca giusta si affrontano meglio.
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