Scrivo tra le lacrime mi perdonerete,
Non sarei la persona che sono se quasi quarant’anni fa, tra le tempeste dell’adolescenza e le maree del divorzio tra i miei genitori, non mi fossi seduta di fronte a Irene Bernardini.
Io ero poco più che bambina, lei una giovane psicologa, che stava preferendo al prestigio di una carriera da analista, l’impegno dalla parte di bambini e genitori, per insegnarci a voler bene anche dopo la famiglia.
È stata la mia prima vera alleata.
Dalla parte delle bambine e dei bambini, prima di tutto, per sempre.
Dalla mia parte, per quasi tutta la mia vita.
Un’alleata potente e scanzonata, ironica e impetuosa, sul tavolino tra me e lei i fazzoletti, per ridere e per piangere, insieme.
Che le sedute erano sempre poco ortodosse e molto appassionate, palate di vita vera, come diceva.
Non so dire per quanto sono stata sua paziente, ma so quanto lei lo è stata con me.
Ad ogni svolta della vita ci siamo viste.
Quando ho temuto di perdere la bussola mi sono seduta di fronte a lei e in un paio d’ore abbiamo sempre rimesso in ordine le carte.
Ha seguito la crescita dei miei ragazzi attraverso le fotografie.
Ci scrivevamo, io la aggiornavo, lei mi rispondeva, sempre.
Da lei ho trovato il coraggio di trasferirmi in Svizzera, per tenere insieme la mia famiglia.
Da lei la voglia di rimettermi a disegnare, perché potrò sempre farlo dappertutto.
Col suo bel modo diretto mi ha detto:
– Il tuo problema è che sai fare un sacco di cose. Se adesso io ti chiedessi di farmi una di queste (la custodia del suo iPad) tu sapresti metterti d’impegno e capiresti come farla. Ma è diverso se una cosa la fai per divertirti o per andare da qualche parte. Quindi per cortesia smetti di dire che hai scritto un libretto, se hai scritto un libro, e datti la possibilità di fare sul serio.
E così io il libro l’ho scritto e lei lo ha letto. E mi ha scritto una delle sue belle email senza peli sulla lingua….
“ho letto tutto: mi è piaciuto molto. davvero. tutto l’insieme è molto divertente oltre che utile.solo, se proprio devo dir qualcosa, starei ancora di più sul soggettivo. alleggerirei cioè il lato “saputella” che qui e là viene fuori. io ci darei dentro, con spudoratezza e umiltà.
dai!”
e allora io ho cercato di non essere saputella.
e poi è nato Faccio Quello Che Posso e ancora una volta le ho scritto e mi sembra l’altro ieri che mi ha risposto:
“ma brava Ale, ma brava.
io sono presa dai turchi, reduce da due traslochi epocali e in arretrato su tutto, ma proprio su tutto. ora però ci vado sul tuo sito. ci vado di sicuro!
e poi ti dico. poi, eh? mica subito.
sono contenta che tu sia dove sei e tu abbia trovato un centro: si fa sempre in tempo, poi, a guardarsi intorno.
ora campanello dello studio.
un abbraccio,
i.”
Ecco lei era contenta che io fossi dove sono e che avessi trovato un centro.
Io invece ora mi sento proprio s-centrata e parecchio orfana.
Anche se orfana è solo Caterina, che non se lo merita proprio.
Non è valido, davvero, non è proprio valido.
E sarà sempre nei miei ringraziamenti.