Sono incappata in un articolo, anzi il New York Times in persona mi ha scritto sostenendo di avere selezionato un elenco di letture apposta per me, tra cui Why I Decided to Stop Writing About My Children, che in effetti mette il dito su una questione che mi sta molto a cuore.
Elizabeth Bastos racconta come e perché abbia smesso di pubblicare post sui suoi figli, dopo sette anni di blog, a causa di una telefonata con suo padre.
Aveva superato un limite importante, aveva scritto della pubertà di suo figlio, e il nonno era intervenuto come un leone in difesa del nipote.
La madre ci ha pensato su, ha pianto e fatto una meravigliosa autocritica come solo certe donne sanno fare.
Ora scrive di natura.
Sono contenta che il NYT abbia pubblicato questo pezzo.
Sono contenta che Elizabeth si sia posta la domanda che mi pongo da molto tempo.
Faccio Quello Che Posso è nato meno di un anno fa, ma la voglia di scrivere mi appartiene da sempre.
La ragione per cui a lungo ho continuato a farlo solo nei miei quaderni colorati o al massimo in file del mio computer è proprio questa domanda:
Quanto è giusto scrivere dei nostri figli?
Io non ho la risposta.
Ma in questi anni ci ho pensato tanto e mi sono rigirata la questione in mente mettendoci accanto molte altre domande.
Perché scriviamo dei nostri figli?
Per me la scrittura è sempre stata un bisogno e anche Elizabeth Bastos dice di aver scritto il blog per andare avanti, oltre la depressione postpartum e quelli che per lei erano gli anni persi e per i suoi figli gli anni magici.
Quando si sentiva sopraffatta dal lavaggio biberon, cambio pannolini, notti condivise, lei scriveva e trasformava le fatiche e le gioie dell’essere genitori in storie che possono essere raccontate. Ma storie in cui comunque, io ero sempre la narratrice, la protagonista, anche se contemporaneamente ero l’eroina nella tempesta….
Conosco il bisogno di trasformare in storie, lo ritrovo in me, ma anche in tutti i mummy blog che popolano la rete. Allora mi sono chiesta:
A questa domanda mi sono data una risposta, almeno per quanto riguarda me:
Io ho bisogno di trovare un senso in quello che faccio, che vada al di là della mia singola esperienza.
Ho bisogno di pensare che la fatica che faccio non serva solo a me, che le cose che imparo possano aiutare altri, che le sofferenze non si ripetano per altre.
Per stare bene ho bisogno di condividere.
Considerando il gran numero di madri che scrivono in rete, il mio è un bisogno diffuso.
E qui mi sono sempre venute in mente parecchie altre domande:
Perché i genitori oggi hanno così bisogno di condividere?
Che effetti potrà avere sui nostri figli il nostro scrivere?
E dando retta al mio allarme interno, che abita tra il mio stomaco e il mio intestino, poco razionale quindi, ma spesso efficace, mi chiedo:
Dove sta il confine tra condividere ed esibire? Ovvero tra il nostro bisogno e il loro diritto?
Non trovando risposte certe e avendo una gran paura di sbagliare, di far del male ai miei bambini, per tanti anni ho tenuto le mie pagine in un cassetto.
Poi la vita ha preso il sopravvento, con un’accelerazione e un’impennata: siamo emigrati, quando pensavo di ributtarmi nel lavoro a capofitto ho invece preso una lunga pausa, ho avuto tempo per pensare, il bisogno di scrivere si è fatto sempre più incontenibile e si è arricchito di altre motivazioni.
Così è nato FQCP, perché ho pensato che:
– Noi genitori, non più solo le mamme, abbiamo bisogno di condividere perché ci sentiamo soli.
Credo ci siano sotto un sacco di ragioni, storiche, sociali, culturali ed economiche, ma la sostanza è che ci ritroviamo tutti più o meno soli nelle nostre case a cercare di fare al meglio i genitori e restare adulti produttivi. Siamo pieni di preoccupazioni e abbiamo pochi modelli validi, così ci guardiamo in giro.
– Ma se siamo in tanti a sentirci soli allora vale la pena di provare a fare qualcosa insieme, costruire una rete, che forse è il modo più sensato per usare il web. E se in tanti raccontiamo le nostre storie e le cuciamo insieme, forse sì che potremo dare un senso condiviso al nostro incedere.
– Il confine tra condividere ed esibire è sempre labile, per questo ci siamo date delle Regole e solo chi le condivide può partecipare, ma i bambini si possono interpellare e se sono loro a dire come la pensano è tutto più bello.
– Comunque alla fine quello che funziona di più è porsi sempre una domanda, prima di pubblicare: Come mi sentirei se raccontassero questo di me? un po’ evangelica come questione, ma sempre efficace.
PS mentre io mi faccio tutte le mie domande, la vita prosegue per le sue vie e regala esiti imprevisti: la redazione cultura di FQCP inizialmente composta solo dai miei figli, si sta allargando, e pare che ai bambini piaccia molto vedere pubblicati i propri testi. Così le posizioni si ribaltano e gli oggetti del racconto diventano autori della narrazione, mica male, mi piace un sacco.