L’abbiam detto, l’abbiamo ripetuto, qui domattina si va a scuola.
Per supportarci in questo momento difficile ci ha raggiunti anche la nonna con frutta e verdura dall’Italia.
Iniziare la scuola mentre gli altri sono in spiaggia senza neanche pomodori e basilico era davvero troppo.
L’ultima settimana di vacanza ci ha però regalato grandi soddisfazioni:
– Il campo estivo di calcio ha dal primo giorno organizzato una grande sfida, un minieuropeo. Dopo l’allenamento e la merenda, le varie nazionali under 10 si sfidavano in match molto accesi.
In casa nostra fino a giovedì l’umore non era dei migliori.
Oltre a essere stato assegnato alla nazionale spagnola, e quindi ad aver dovuto sfidare l’Italia e perdere, il nostro piccolo eroe, nonostante avesse segnato in tutte le partite, non ne aveva vinta neanche una e si avviava a chiudere la settimana in fondo alla classifica, con l’orgoglio ferito.
Stavamo già preparandoci il discorso, bisogna anche imparare a perdere. Quando giovedì è successo l’inimmaginabile.
Non sappiamo da dove – e preferiamo continuare a non saperlo – è arrivato lui, l’Albanese.
Ho cercato di spiegare che non era gentile chiamarlo così, che di sicuro aveva un nome, ma non c’è stato tempo per le presentazioni, c’era una classifica da scalare.
Da una colossale Mercedes nera, coi vetri scuri, parcheggiata di sguincio a occupare due posti, sono scesi prima un armadio a sei ante e poi il suo adorato figliolo.
Cresta d’ordinanza, otto anni di fierezza, è sceso in campo e ha dato una svolta.
Prima ha segnato il gol che ci ha rimesso in gara, poi una tripletta che ci ha portati ai rigori della semifinale, noi per fortuna abbiamo segnato l’altro gol e risollevato l’orgoglio. Ha avuto anche il buon gusto di sbagliare un rigore, così per non rendersi troppo antipatico, ma il geniale portiere ha parato quello avversario.
Detto fatto, finale 3-1, medaglia d’oro.
Noi abbiamo seguito solo in parte la gloriosa impresa, perché eravamo a recuperare la nostra esploratrice su per i monti, ma la nonna ha documentato ogni passaggio in foto e video e il giovane eroe ci ha fatto per telefono una perfetta radiocronaca appena sceso dal podio. Quando siamo arrivati, quattro ore dopo, non si era ancora tolto divisa né medaglia, così ci ha potuto ripetere il racconto in odorama.
Rimane il sospetto che le dimensioni del padre balcanico e della di lui automobile abbiano contribuito a determinare il risultato, o almeno a incutere deferenza sugli spalti, ma è un po’ presto per pensare al calcio scommesse, possiamo goderci l’oro quasi olimpico.
– Mentre in campo si vendeva cara la pelle noi, dotati di baslotta d’ordinanza piena di pasta, andavamo a rifocillare le giovani esploratrici.
Dopo due settimane lontane dalla civiltà, su e giù per monti con zaino e tenda in spalla, pensavamo di trovarle stravolte e sconfortate. Giù da noi aveva diluviato e ce le immaginavamo intirizzite e infangate almeno quanto i fratelli esploratori di ritorno dal loro campo di luglio.
Invece al parcheggio siamo stati accolti da tre musetti abbronzati e sorridenti che ci hanno indicato il sentiero giusto. Dopo pochi passi siamo sbucati in un luogo fantastico, un grande prato soleggiato, attraversato da un ruscello e protetto da un anfiteatro di montagne.
Lì abbiamo trovato delle creature meravigliose, con gambe infinite in minishort e stivaloni, lunghi capelli al vento, pelle dorata, stavano smontando strutture di tronchi e ripiegando teloni militari.
Abbiamo impiegato qualche secondo a riconoscere che tra quegli esseri silvestri c’era anche la nostra bambina, quella che a casa ha paura di una falena e cerca di smollare ai fratelli i lavori pesanti.
Lei era lì, pienamente nel suo, in mezzo alle altre, spazzolava via il fango dai teli di fondo, poi insieme li piegavano e trasportavano a valle. Avevano camminato, dormito a cielo aperto, giocato nel bosco di notte, fatto la doccia nel fiume, acceso fuochi, costruito tendoni per riparare le provviste dalla pioggia e gabinetti per non sporcare in giro per il bosco, giocato al body painting e scacciato ragni dalle tende, fatto una passeggiata fino a un’elegante piscina con gli scivoli, caricato e scaricato la spesa fino al campo base, più volte. Tutto sempre e solo tra femmine.
Avevo quasi voglia di tornare indietro, di lasciarla lì, con le ragazze, invece di riportarmela in questa casa a maggioranza maschile dove si litiga tanto e si è guadagnata l’epiteto di Miss Enfasi. Anzi avrei avuto voglia di fermarmi io, una settimana in tenda, tra i monti, tra ragazze. Sono sicura che sarebbe uscita la nostra parte migliore.
Ma siamo rimasti. Abbiamo contribuito al repas canadien – non so perché ma qui in Svizzera il pic nic in cui si mette il cibo in comune, si chiama pasto canadese – con la nostra pasta ai pomodori crudi e la mia immancabile torta al cioccolato e abbiamo goduto di alcune leccornie di origine bulgara, di una ottima torta tedesca, di un’insalata greca e di alcune orrendezze svizzere, (a tavola proprio non ce la fanno).
Alla fine il gruppo della specialità teatro ci ha deliziati con un’esilarante scenetta, dei veri talenti, poi, stanchi ma felici, siamo scesi a valle.
E ora dopo un weekend di deludenti telecronache olimpiche, di litigate per i posti sul divano, di grandi riordini e lavatrici animati dall’infaticabile nonna, un paio di spidocchiamenti di rito, e una cena tra amici giusto per festeggiare il tavolo nuovo e ricordarci che anche qui non siamo proprio soli, non ci resta che fare le cartelle e mettere la sveglia alle 6,30 di domattina.
Abbiamo anche finito giusto in tempo di leggere Zola…