Nostalgia canaglia, veramente.
Quest’anno mi sentivo partita bene, ero piena di buone intenzioni, appagata dalle vacanze e speranzosa verso il futuro.
– Questa volta non mi frega.
Mi dicevo.
Lezione di yoga, passeggiate, lavorare, scrivere, disegnare.
Il corso di scrittura, per dominare questa lingua che arrotola la bocca.
Il tempo, ancora bellissimo, freddo di mattina e gran sole per tutto il giorno.
Nuovi amici, compagni di corso anche per me.
– Ormai me la cavo.
Mi dicevo.
I ragazzi sono più sereni, sembrano aver trovato un po’ d’equilibrio, si cresce, anche qui.
Anche meglio per certi versi. Si sta più all’aria aperta, si va in giro da soli. Si imparano tre lingue nuove.
– Tutta salute.
Mi dicevo.
E intanto in Italia sono circolate quelle orrende cartoline sulla fertilità, e so che siamo fortunati a essere qui.
Ma stamattina mi sono distratta un attimo, e la nostalgia è arrivata direttamente alla pancia, senza preavviso è rimontata fino agli occhi.
Non so se è l’idea di un altro anno di scuola che inizia senza di noi, la paura che sarà sempre più difficile tornare indietro.
O mia figlia che vede per caso una foto di qualche anno fa e dice:
– ma sei tu? Non ti riconosco!
O suo fratello che aggiunge:
– Beh se guardo te e la foto non ti riconosco, ma nella mia memoria tu sei quella della foto.
Un onda mi ha travolta, nostalgia della mia città, della mia indipendenza, della nostra casa in cima alle scale infinite, del nostro quartiere. E di una vita a cinque che in verità a cinque non era mai, perché uno era sempre in viaggio. Ma io la sognavo e aspettavo, pensavo sarebbe successo prima o poi.
E invece per essere in cinque abbiamo dovuto venire lontano.
Esiste comunque un istinto di sopravvivenza nell’onda, e così ho deciso di reagire, scrivendo e disegnando, tutti i giorni, anche solo pochi minuti.
Ho un metodo, lo seguirò, e magari gli troverò uno spazio su Faccio Quello Che Posso.
E comunque farò più attenzione alla musica che ascolto di prima mattina!
Cominciamo con un prato…