Il mercoledì mio figlio maggiore entra a scuola più a tardi. Il bus si ferma davanti a casa alle otto e un quarto.
Una mattina invernale di pioggia particolarmente gelida io avevo il treno alle otto e venti, e gli ho chiesto il piacere di portare suo fratello con lui per due fermate, fino alle elementari, per evitare che si infradiciasse.
Pare che sull’autobus delle 8.15 ci sia una festa di mezza scuola, imperdibile.
Così una piccola emergenza si è trasformata in un rituale.
– Mamma oggi mi sa proprio che piove, è meglio che anche io vada in autobus…
– Sì, va beh, però non fare come l’altra volta, che per tornare indietro a salutare la mamma mi stavi facendo far tardi!
Di settimana in settimana le parole cambiano un po’, ma il copione è lo stesso. Il piccolo muore dalla voglia di andare in autobus con suo fratello maggiore, quei cinque minuti da grandi, un po’ clandestini perché lui non ha l’abbonamento per lo scuolabus, gli valgono la settimana e per non perdere l’occasione deve dimostrarne l’assoluta necessità meteorologica.
Il grande per sostenere il suo ruolo, deve farla cadere un po’ dall’alto, mantenere l’espressione corrucciata, dispensare burberi rimbrotti.
Io li guardo dalla finestra della cucina attraversare la piazza. Sono tutte due lunghi lunghi e ossuti, uno arriva al gomito dell’altro e si tira il collo per guardarlo in faccia.
Ci vogliono due passi del piccolo per riempirne uno del grande, e il piccino di solito ne fa anche tre o quattro di lato o indietro o almeno un saltello ogni due, con la cartella che gli rimbalza sulle spalle.
Il maggiore mantiene l’aria austera da adolescente responsabile e distaccato, passo spedito, dritto in avanti.
Ma al momento di attraversare la strada guarda prima a destra, poi a sinistra, poi abbassa lo sguardo e per un solo secondo, posa la mano sulla spalla di suo fratello.
E io dietro il vetro mi sciolgo.
Perché questa cosa dei fratelli per me resta sempre un po’ misteriosa. Ne avrei tanto voluti. Ma ho anche visto tanta ferocia in giro. Gelosie irrisolte che minano la lucidità di adulti normalmente ragionevoli.
Così cerco di fare attenzione, di essere equilibrata e rispettosa delle differenze. Di trovare con ciascuno un momento esclusivo. Di insegnare rispetto e pretendere civiltà, ma non forzare l’affetto, ché i sentimenti non si impongono.
Ma chi lo sa se tutto questo sarà sufficiente? Se quando io non ci sono, saranno capaci di sostenersi, di fare squadra, o almeno di allontanarsi con rispetto.
O se si accaniranno sulla contabilità delle carezze, che sono sempre dispari, in quel mercato del pesce squallido e feroce, che ho visto scatenarsi in molte famiglie.
Quando questo fosco pensiero mi attraversa, ripenso al mercoledì mattina, a quella mano sulla spalla e guardo al futuro fiduciosa.
Poi per riderci sopra e convincersi che comunque abbiamo fatto loro un regalo, si può sempre guardare questo video…