Ci vuole un villaggio 2. Guardando le Alpi verso sud.

Alessandra Spada meadow drawing ink on paper

vivere in un villaggio fa venir voglia di disegnare fiori..

La decisione di trasferirci tutti in Svizzera non è stata immediata, ma è stata repentina.
Da quattordici anni mio marito faceva il pendolare tra le università di mezza Europa. Il cervello era in fuga, ma le radici restavano in Italia.
Io nel frattempo ho tenuto in equilibrio come ho potuto, tre figli, una vita, vari lavori.
Il nostro studio e la nostra casa, per una serie di coincidenze e per un mio talento per la logistica, sono nel quartiere dove abitavo da piccola.
I nostri figli avevano in classe i figli dei miei compagni di scuola. Per una dall’infanzia nomade come me, era bellissimo.
Amavo stare in città, in quel pezzo in particolare, dove abbiamo la vita di un paese, le scuole, la sagra a primavera, il mercato del venerdì, il parco dove a tutte le età si incontrano amici. Ma anche la metropolitana che in 10 minuti sei in centro e vai in libreria o a vedere una mostra anche la domenica.

La centralità degli affetti -come poeticamente la definisce l’Intendenza di Finanza- senza dubbio era nella nostra città e questo aveva un prezzo, molto caro, che non riguardava solo lo spendere in Svizzera e pagare le tasse in Italia, ma la qualità della vita di tutta la famiglia.
La primavera scorsa stavamo implodendo e ci sembrava di fare acqua da tutte le parti.

Non trovando soluzioni, davanti all’ineluttabilità del trasloco, ho pianto come una fontana.
Ma tra una lacrima e l’altra, mi sono messa a cercare casa, per la prima volta considerando l’idea di non stare in città.
Ho scovato subito questa: maison
L’annuncio non era chiaro, ma sapevo che stava aspettando noi. Ho lasciato tutti di stucco dicendo:
– Va bene, partiamo tutti e cinque. Se riusciamo ad affittare questa, ci vengo.

In due mesi abbiamo smontato, svuotato, trovato inquilini, trasportato la nostra vita.
La nostra casetta è al centro di un minuscolo villaggio sulle colline che guardano il lago. Sull’altra sponda, a sud, il Monte Bianco e l’Italia.
Il centro città è a 12 minuti di treno, l’università a cinque di auto o 20 di bici. A scuola si va da soli anche a sei anni, anche al parco giochi, o al campo di calcio.
Dalla mia finestra vedo il galletto segnavento sul campanile.
La gentilezza è un po’ formale, ma pian pianino ci stiamo inserendo.
Non c’è il calore del nostro quartiere, la nostalgia si fa sentire, ma intorno a noi è tutto così bello che ci si consola.

Quando torniamo -spesso- siamo felici di rivedere gli amici, ma anche frastornati dalla puzza e dal rumore.
Gli appartamenti ci sembrano stretti, il cibo meraviglioso.

Stiamo allungando le nostre radici.
E l’inverno sta finendo.
Ormai siamo a casa in due nazioni.
E a primavera sono curiosa di scoprire cosa ci riserva il nostro nuovo villaggio.

In giardino sono già spuntati i bucaneve.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *