Ferragosto operoso

Mentre gli italiani si godono variamente il lunedì di vacanza, qui oltralpe ci si mette seriamente all’opera.
Dopo aver recuperato ieri il nostro orgoglioso lupetto con nuovo fazzolettone- seguirà post apposito perché l’orgoglio materno ha bisogno di più spazio – oggi ci siamo tutti dedicati ad attività edificanti.

Il lupo per quanto piuttosto stanco, stamattina alle 8,15 ha iniziato il campo estivo di calcio, che per quello c’è sempre energia. Dotato di fiammante divisa rossa ha ritrovato qualche compagno di squadra e molti nuovi amici, così ci prepariamo alla nuova classe e l’inizio scuola di lunedì prossimo è meno traumatico.

Il fratello lungo del lupo è stato spedito a una costosissima mattina di windsurf, perché se restava ancora un po’ chiuso a leggere il libro di Zola che deve finire per lunedì, sarebbe entrato in depressione prima ancora dell’inizio della scuola.

Delle esploratrici, da otto giorni in giro per i monti, non si hanno notizie, ma anche qui si dice: niente nuove buone nuove, quindi fino a venerdì stiamo tranquilli.

Il pater familias è stato richiamato in servizio effettivo sul campo, perché io, per dare un senso al primo ferragosto non di vacanza, ho fatto il passo più lungo della gamba e mi sono iscritta a un corso intensivo di tre settimane di scrittura in francese, che cominciava oggi.

Stamattina alle 7,17 sono uscita di casa rischiando di perdere il bus delle 7,18, con le scarpe slacciate ho attraversato la strada e mentre salivo i gradini dell’autobus ho fatto il biglietto col telefonino, vietatissimo, va fatto prima di salire, c’è scritto dappertutto e se arriva il controllore sa a che fermata sei salita e a che ora il mezzo è passato, e non è contento se gli orari non coincidono.

Le scuole non sono ancora ricominciate e c’è qualche bus in meno, questo unito all’ansia da primo giorno, mi ha fatta uscire molto in anticipo.
Così sono arrivata prestissimo all’università ancora quasi deserta.
Non ci posso fare nulla a me la scuola piace, sempre, non smetterei mai, camminare per quei corridoi mi fa sorridere.

Stamattina ci hanno dato tutte le istruzioni e se non mi sottraggo potrei trovarmi coinvolta per tre settimane in un turbinio di attività atletico mondane come avessi vent’anni.

Oggi avevamo il test d’ingresso, il povero direttore del corso ha letto ad alta voce qualche centinaia di nomi di tutte le nazionalità, tutti rigorosamente con accento francese, poi ci hanno divisi nelle aule d’esame. E io ero lì tutta contenta con la mia matita, la penna blu, il foglio delle risposte e cercavo di fare del mio meglio anche se la mia classe era già decisa, non c’era bisogno di dimostrare il livello.
Siamo in pochi ad aver scelto di cimentarci nella scrittura e già dal primo pomeriggio di lezione, mi sembra bellissimo.

Il mio maestro è arrivato in birkenstock e bermuda, la maglietta di un festival letterario, tutto rigorosamente nero.
Ha la testa rasata e un lungo pizzo grigio. Abita in un villaggio poco lontano dal nostro, – odiati avversari in testa alla classifica del nostro mini campionato di calcio, li abbiamo battuti solo in primavera – con sua moglie e i loro bambini di quattro e dodici anni.
Lui fa lo scrittore, lei non so, ma datemi tempo.
Fino a poco tempo fa vivevano in Argentina e tornavano solo per insegnare ai corsi estivi di francese dell’università. Lo facevano entrambi ed era sufficiente per passare il resto dell’anno in Sud America a scrivere senza altro lavoro. Già questa mi è sembrata una bella storia.

Per domani devo inventarmi un tema su cui mi piacerebbe scrivere un articolo da presentare in bozza lunedì prossimo.

Non so cosa ne caverò fuori da queste settimane, ma almeno spero di lanciare la volata ai miei ragazzi che devono rientrare in classe mentre i loro amici italiani sono ancora in spiaggia.

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