Quest’autunno dedichiamo un angolo del nostro pensiero all’atto di raccontare.
Su Faccio Quello Che Posso raccontiamo di noi e dei nostri figli, ne sentiamo il bisogno, per condividere, fare rete, darci una mano, smettere di essere in tanti a essere soli.
Ma dal primo momento ci siamo resi conto che è una china scivolosa e che abbiamo bisogno di limiti. Abbiamo scritto le nostre regole, ma non ci basta.
Abbiamo deciso di interpellare qualche esperto, e nei prossimi giorni vi diremo come è andata.
Vorremo anche capire cosa ne pensate di questa faccenda del raccontare i figli, ai figli, coi figli.
Così abbiamo cominciato a far circolare qualche domanda e a raccogliere delle risposte, bellissime.
Non tutti hanno voglia di essere pubblicati e le loro risposte ce le terremo strette sul cuore, ma con gran piacere, ecco qui le belle cose che ci ha scritto Paola Villa, che speriamo continuerà a essere dei nostri.
Da quando sono diventata mamma, 8 anni fa di Pietro e 6 anni e mezzo fa di Giovanni, scrivere di/con loro è diventata un’esigenza.
Per provare a trasformare in qualcosa di utile il senso di perenne inadeguatezza che ti prende quando ti ritrovi a combinare l’incombinabile e ti resta sempre fuori un pezzo, o di qui o di là.
Però ci sono sempre molte remore nel parlare e scrivere di figli in pubblico.
E se poi diventa troppo un mettersi in mostra mio?
E se, soprattutto crescendo, il mio scrivere quel che dicono li porta a perdere spontaneità?
Il libro non mi sembra la strada giusta per rispondere alle esigenze.
Cerco maggiore scambio con altri genitori, non maggiore visibilità.
Vorrei più dialoghi, non voglio impaginare meglio i miei monologhi…
Sono stata subito curiosa. Mi è piaciuto il titolo, il tono. Mi ha fatto sorridere l’ambientazione svizzera (a me nata appena prima del confine).
Mi ha intrigato molto il sottotraccia da espatriati (non credo sia un particolare secondario, parlare di genitorialità e famiglie, nel presente, è avere a che fare con identità composite, spostamenti, trasformazioni, periferie e confini).
E con Alessandra si sono visti subito tutti i pro e contro della cosa.
Che sono spesso post molto brevi, non l’ideale per un blog.
Che gli autori sono i figli, spesso piccoli, e quindi va concordata con loro la pubblicazione.
Che non si vuole diventi una collezione solo di frasi buffe e che, in nessun caso, deve essere un modo di mettere in ridicolo o in imbarazzo i bambini.
In realtà non lo sono. O meglio, lo sono come ogni essere umano al mondo è unico e speciale.
O perché affrontano in modo diretto temi topici (il tempo, lo spazio, la morte, il senso delle cose…).
O perché ribaltano il nostro modo di vedere.