Prima dell’estate scrivevo che ci saremmo messe a caccia di papà, perché non ha tanto senso parlare di un luogo accogliente per genitori, essere ogni volta puntigliosa e precisare che, ” No, non si tratta di un mummy blog”, se poi ce la cantiamo e ce la suoniamo solo tra mamme.
Noi vogliamo il confronto, lo scambio, voci e punti di vista vari e diversi.
Ma i papà sono merce rara, quelli che scrivono poi ancora di più.
Tutti molto impegnati e se hanno tempo per i loro bambini, ancora di meno per scrivere qui.
Ma noi da sempre, puntiamo sulla qualità.
Mica che ci farebbe schifo diventare virali, solo che non faremmo qualsiasi cosa per esserlo.
Abbiamo le nostre regole e le rispettiamo. Vogliamo essere utili, costruire una rete, e ci vuole pazienza.
È per questo che con ancora maggior soddisfazione oggi presentiamo – rullo di tamburi- l’intervista a Federico Vercellino , un papà che scrive, la scrittura come attività sentimentale (wow), e che ci ha detto delle cose bellissime di noi, da montarci la testa.
Grazie Federico, speriamo che tu ed Emanuele Patti siate i primi di tanti papà che avranno voglia di condividere con noi.
- Federico ci racconti la tua storia?
Sono nato a Torino, dove ho vissuto fino a 27 anni. Sono profondamente torinese e amo quella città in maniera acritica e irragionevole, quando posso ci torno ed è sempre e comunque casa. A Torino ho studiato filosofia e mentre studiavo lavoricchiavo, principalmente nel no profit. Con Libera ho collaborato un po’ di volte e con loro ho iniziato a occuparmi di comunicazione. Una volta laureato, archiviata velocemente e con amarezza ogni velleità di intraprendere la carriera universitaria, ho iniziato a mettere a frutto l’unica cosa che sapessi fare, la comunicazione. Mi sono trasferito a Milano per lavorare in un’azienda, poi in un’agenzia di pubbliche relazioni, poi in una società di consulenza. Insomma, Milano è in qualche modo casa, mi innamoro, poi mi sposo, poi divento padre a 38 anni. Paternità fortemente voluta, come una vocazione, e oggi posso dire che non mi sbagliavo. Dopo pochi anni mi ritrovo padre separato. Sembra una storia triste – forse un po’ lo è – ma da allora ho cominciato a riflettere molto sul mio ruolo, ho capito meglio cosa sono impegno e responsabilità e tante altre cose che a volte provo a raccontare, scrivendo.
- Tu scrivi, l’hai sempre fatto?
Scrivo pubblicamente per il blog multi firma de Il Sole 24 Ore Alley Oop da febbraio di quest’anno.
Amo la scrittura da tanto e, come molti inconcludenti velleitari, penso di avere un romanzo nel cassetto, poi guardo bene e il cassetto è pieno solo di storielle. In qualche modo, però, la scrittura mi ha salvato, questo sì. Grazie alla scrittura infatti ho trovato il mio primo lavoro, business writer, questo c’era scritto sul mio biglietto da visita.
- Un papà che scrive, secondo te è un papà più consapevole?
Credo che un papà che scrive, spesso è un papà che ha del tempo. Nelle sere che non passo con mia figlia, scrivere di lei o di noi, o di cose che grazie a lei ho osservato e compreso, è un’attività sentimentale. La scrittura è rielaborazione e, spesso, fatica, quindi sì, credo che aiuti la consapevolezza.
- Cosa è cambiato da quando sei padre?
La prima cosa ad essere cambiata è lo sguardo sul mondo. L’amore per un figlio è qualcosa di differente dagli altri amori, credo che si basi principalmente sull’empatia e sulla cura. Questi due ingredienti permettono di affacciarsi al mondo con uno sguardo benevolo, con desiderio di pace. Da quando sono padre mi piacciono i bambini e ho ricominciato a mangiare i dolci, che prima detestavo. Grazie a un’amica che mi ha interrogato sullo stesso tema, ho scoperto di essere diventato anche più coraggioso nell’esprimermi e nell’agire.
- Quanto tempo passi con tua figlia?
Invidio la quotidianità dei padri che tutte le sere possono godere dei figli, magari anche della loro semplice presenza addormentata oltre una parete. La quotidianità è come l’aria, però, la respiri e spesso non l’assapori.
Da separato, passo con mia figlia due sere alla settimana e poi due fine settimana al mese, dal venerdì al lunedì. Non è tanto, ma sono vacanze. E’ tempo prezioso, nel quale trova luogo solo il rapporto fra di noi.
- Quale è il momento che preferisci con lei?
I momenti che preferisco sono quelli che precedono il sonno, quando mia figlia comincia a chiacchierare, raccontandomi quello che ha fatto durante il giorno, magari i suoi desideri, i suoi pensieri su ciò che la circonda, dalle Winx al perché quando si diventa molto vecchi si finisce in cielo. I momenti di parola sono i migliori, spero che non vengano mai meno.
- La cosa che vi piace di più fare assieme?
Anche in questo caso, si tratta di momenti di parola. Ci piace inventare storie buffe e sbilenche. Io le comincio a imbastire e lei le riempie di particolari. Oppure storpiare le canzoni, quando siamo in viaggio in auto.
- Cosa vuol dire per te faccio quello che posso?
Vuole dire vivo e mi impegno con amore. Significa apprezzare il lavoro, quanto o più del risultato. E’ una cosa che esiste poco nella nostra cultura, dove il merito, se c’è, è tutto nel “prodotto”. Faccio quello che posso è l’arte di ammettere gli errori e i fallimenti come parte di un percorso.
- Cosa pensi di FQCP? Come credi che possa essere utile.
Conosco e seguo FQCP. E’ una specie di fatherly.com, ma di contenuti decisamente più apprezzabili. Mi piace il tono di voce di chi scrive, la delicata ironia di quasi tutti i post, l’autobiografismo che riesce comunque a parlare anche universalmente. Credo che sia un progetto di ampia architettura, anche se adesso se ne vede solo una parte. Sono convinto che sia una casa in costruzione. Penso che possa essere utile perché contribuisce a diffondere una cultura nuova. Alcuni parlano di modern parenting, ecco intendo una cosa di questo tipo, una cultura in grado di sostituire la tradizionale genitorialità basata su ruoli, regole e forme di dedizione, ormai irrealistiche. Grazie per l’ospitalità e speriamo di rincontrarci presto.