Comunisti col Rolex

Si sa la fortuna sorride agli audaci, ma li mette anche alla prova.

Questo fine settimana sono audacemente scesa a Milano per andare a una festa.
Ho fatto una fuga in treno col mio piccolo.

Ma le fughe di una madre non sono mai lisce come sognerebbe.
Quindi il meccanico Sbaglia, che non è un personaggio di Richard Scarry, ma il nostro meccanico di fiducia, – e sì, ciascuno ha ciò che si merita e noi un meccanico simpaticissimo che si chiama Sbaglia. Il quale venerdì sera ha purtroppo telefonato dicendo che la macchina era pronta.

La macchina è di mio marito, e io non l’ho mai guidata.
Se l’è comperata quando ha cominciato a fare il pendolare con la Svizzera.
L’ha trovata usata dal concessionario valsesiano che l’aveva preparata per sé stesso con il meglio della piazza.
Ha quindi un motore che forse usano nel Rally di Montecarlo, trazione più che integrale, un cambio automatico per me indomabile, sedili in pelle nera che i miei figli ritengono scomodissimi, e un carattere capriccioso.

All’epoca io guidavo serena Herbie, la nostra simpatica e acciaccata sette posti VW di terza mano, e ho battezzato l’Audi la principessa, considerandola un segno di senilità del consorte, e mettendo una pietra sopra la faccenda.

Quando abbiamo fatto il primo weekend soli con la sua auto, ho scoperto che nella pancia aveva anche un complicato sistema di archiviazione di CD musicali collegato alla radio.
In auto con noi c’era solo la collezione delle fiabe sonore.
Lui ha minacciato di mettere fine al weekend, e non solo, gettandosi da un ponte, se avessi messo ancora una volta Il Principe Ranocchio.
Al primo autogrill ho cercato nella cassetta dei CD a 4,90 e ho messo classici del rock nella pancia della principessa.

Poi siamo emigrati e Herbie non è venuto con noi, una triste storia. Io ho continuato a non guidare la principessa, e mio marito ha recuperato anni di servizio taxi genitoriale.

Fino a ieri.
Ieri lei era lì che mi guardava, a Milano, parcheggiata regalmente sul marciapiede di casa e io non potevo lasciarcela.
Dopo anni di diffidenza, preda del malditesta da bagordi del sabato sera, che si manifestava soprattutto in un’acuta fotosensibilità, le ho detto:

-Cià principessa, ora io e te andiamo al supermercato, tanto per cominciare.

E regalmente ma non troppo ci siamo avviate al parcheggio sotterraneo, io cercando di dimenticare di avere il piede sinistro, lei cercando di abituarsi alla guida femminile.
Dieci metri, si accende la spia della riserva.
Centro metri entro al benzinaio self service, dove un gentile signore indiano passa la domenica aiutando signore imbranate a far benzina, sperando in una mancia.
Cerco bottone per aprire serbatoio. Non lo trovo.
Cerco telefono per chiamare in Svizzera e chiedere al proprietario dell’auto. Lasciato telefono a casa.
Signore indiano mi dice: Aperto signora. Deve mettere soldi macchinetta.
Vado macchinetta.
Macchinetta non vuole mio bancomat.
Provo carta di credito.
Macchinetta vuole PIN di carta di credito. Lasciato a casa PIN con telefono.
Guardo portafoglio. Ho solo venti euro. Poi molti franchi svizzeri.
Macchinetta accetta venti euro.
Signore indiano felice mette diesel in serbatoio auto principessa.
Cerco mancia per signore indiano.
Solo due euro. Poi molti centesimi svizzeri.
Dò al gentile signore indiano i due euro e me ne vado.

Con una certa regalità riguadagnata grazie al signore indiano arriviamo al parcheggio sotterraneo.
Parcheggio splendidamente.
Fiera, scendo e realizzo che i due euro del signore indiano erano per il carrello.
Sospiro, rumorosamente.
Altro gentile signore sudamericano questa volta, che sta mettendo a posto una milionata di carrelli, mi vede e dice:

-ecco signora, oggi domenica, omaggio carrello. Io cerco sempre di fare lavoro con sorriso!

Ciapa, una bella lezione di vita, da India e SudAmerica.

E io che mi faccio intimorire da una principessa!
Le ho riempito il bagagliaio di delizie italiche e ho telefonato a mio marito oltralpe:

-Va bene, te la riporto.
Se sei in crisi con il Passo, ti vengo incontro a Domodossola.
-Vediamo. Ti telefono semmai.

Altro che crisi. Il problema è che alle comodità ci si abitua subito. E in un attimo ci si ritrova a essere comunisti col Rolex.
Una volta che mi sono dimenticata di avere due piedi. Io, con il mio bambino regalmente accomodato sul sedile posteriore solo per lui e i suoi viveri, cibo e bagagli elegantemente chiusi sotto il tendalino del bagagliaio come non succede mai, e la principessa che scivola sulla strada come un coltello nel burro, sembrava non avessimo mai fatto altro.

L’altro problema è accorgersi che si sta andando veloce, molto veloce, decisamente troppo.
Ma con una macchina che non vibra, e rimane silenziosa, è davvero difficile.

In tangenziale poi, per allentare la tensione ho detto:

-dai, metto un po’ di musica!

E dalla pancia della principessa, senza che io facessi altro che schiacciare play e affidarmi alla selezione casuale, sono sortite le inconfondibili note de: El Pueblo Unido.

Evidentemente dovevo aver caricato anche il CD rock dalle piazze, perchè subito dopo abbiamo cantato a squarciagola, la locomotiva, e Stalingrado, mentre macinavamo chilometri che è una bellezza.

Sul passo ci siamo fatti un selfie mosso e lo abbiamo mandato al papà.

Aspetto il responso degli autovelox, io avevo il sole negli occhi e non leggevo bene il contachilometri.

 

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