Alla prima voce del mio libro, ho scritto Abbandonarsi, nel senso di lasciarsi andare, e ho sostenuto che sia la migliore cosa da fare quando si aspetta un bambino.
Ma si sa, tra il dire e il fare, c’è molta pratica, infinita pazienza, non poco coraggio, e per i più disciplinati un bel po’ di meditazione.
Così io per prima faccio fatica a ricordarmene tutti i giorni.
Mi affanno cercando di gestire, dirigere, governare.
Rimpiango il mio tempo libero.
Mi ammalo per troppo sforzo.
Poi capita di uscire in giardino e reincontrare l’orto anarchico, che quest’anno proprio non ce l’abbiamo fatta a governare.
Solo una volta come regalo da un viaggio in Italia il babbo ha portato una cassa di piantine, e i figli maschi, in totale autonomia, hanno piantato creativamente qua e là, in un primo pomeriggio di sole.
Poi è tornato il freddo e il diluvio, e nessuno si è più azzardato a mettere il naso fuori casa, figurarsi girarle intorno e attraversare il giardino per controllare le verdure.
E così oggi scopro che dove avevamo piantato sedano, sono spuntate fragole portate dal vento o nascoste nella terra, che rosmarino e salvia, dati per morti quest’inverno, sono vivi, vegeti e in espansione, per non parlare poi di timo, origano e maggiorana.
La menta che l’anno scorso infestava, ora cresce più disciplinata in qualche angolino. Le erbacce sono rigogliose, ma anche tolleranti, convivono amabilmente con tulipani e aglio, messo lì perché era germogliato in cucina.
Tutti insieme crescono in gioiosa anarchia e totale disordine.
Le erbe ribelli occupano gli interstizi, quelle con pedigree da vivaio puntano altezzose verso il sole, le zucchine azzardano qualche fiore arancione che spicca tra i verdi.
Sopra di loro il fico si riempie di frutti e filtra la luce.
Non posso dire che guardando l’aiuola, ordine e produttività siano la prima impressione.
Di certo c’è abbondanza, allegria, curiosità per quel che ancora potrà spuntare, gratitudine per i doni della natura, pare che il timo sia un toccasana per i bronchi e io ho una tosse che non si decide a guarire.
Ieri siamo andati a cena dai nostri amici di Berlino. Sono qui per sei mesi con tre su quattro figli. Hanno fatto uno scambio di case per far imparare il francese ai bambini.
I gemelli hanno compiuto sei anni qui e volevano assolutamente fare l’orto. Con un mese di anticipo. Così i genitori sfiniti dal duplice attacco, hanno comperato delle piantine e dei teli di plastica e ieri sera abbiamo mangiato insalata del loro giardino.
Ecco, le loro piantine erano precise in fila per due, e i loro bambini l’estate scorsa in vacanza a casa mia, appena alzati piegavano il pigiama e lo mettevano sotto il cuscino.
I miei lo accartocciano ancora adesso.
Allora mi chiedo, non è che nel nostro angolino di terra siamo riusciti a fare qualcosa che ci somiglia? E solo per questo è speciale?
Forse solo qui ho accettato che Faccio Quello Che Posso, vuol anche dire che ci sono molte cose che non riesco a fare, tipo avere le piantine in fila ordinata e alla distanza giusta.
Ma che alla fine va bene così.
Amo la mia aiula caotica e imparerò a cucinare quello che mi regalerà.