Mentre a casa nostra ci si prepara per il primo Natale svizzero, una nonna già sbarcata impazza per casa trasformando nipoti recalcitranti in una squadra di pulitori; l’altra è stata caricata felice da suo figlio sul Millennium Falcon che, trasformato in slitta, sta valicando il Sempione nella neve; Babbo Natale dovrebbe trovarci al nuovo indirizzo, c’è un po’ di trepidazione a riguardo; Nunzia scrive:
Il ragazzo grande e i regali.
– Hai dei soldini, è giusto che inizi a pensare a cosa regalare alle persone a cui tieni.
Il ragazzo grande si è adombrato come su un esercizio di matematica astruso.
– Io non saprei proprio cosa prendere.
– Beh, pensaci, ho detto.
Non deve essere per forza qualcosa di costoso. Puoi usare la fantasia e sopratutto, puoi farti guidare dall’affetto che hai per quella persona.
Anche i regali vanno insegnati: pensiamo di no. Invece sì. Credo sia giusto; che faccia parte dell’educazione sentimentale. Va insegnato che il dono è scambio; che c’è bellezza nel pensare ad un’altra persona; che occorre porre attenzione agli altri perché si possano cogliere quei segnali che ci faranno dire: ecco questo le piacerà. E per esteso, ci fa cogliere la sua interiorità e dire: questo le dispiace, questo la fa soffrire, questo la fa ridere. In questo senso, insegnare l’arte del dono significa coltivare la sensibilità.
Credo che il dono materiale di per sé non abbia valore; va riempito del proprio tempo, dell’attenzione, dell’affetto. L’assenza di un regalo, di contro, non è solo sinonimo di tirchieria. Ma, spesso, dimostra l’avarizia di sentimenti.
E io mi trovo non solo d’accordo, di più.
Io sono nel cuore un’esagerata dei regali, mi piace quasi più farli che riceverli, passerei il mio tempo a far quello. E almeno un poco spero di essere riuscita a trasmettere ai miei figli questa gioia, con un consistente squilibrio di genere, che mi fa pensare che sì i regali si insegnano, ma ad alcuni vanno insegnati di più.
Il fatto che a me piaccia farli, che me ne sia sempre occupata ha riempito molto spazio e alimentato la pigrizia, la distrazione era già di casa. Quest’anno che navigo a fatica tra endecasillabi e settenari non ho fatto quasi nulla di ciò a cui li ho abituati. Abbiamo solo scritto biglietti di auguri agli amici lontani.
Così la mia ragazza e le sue amiche da mesi si sono organizzate, hanno scritto i loro nomi su dei bigliettini e ciascuna ha pescato il nome di quella a cui avrebbe portato un dono oggi, ultimo giorno di scuola. Ciascuna avrebbe avuto un regalo, nessuna avrebbe sforato il budget paghetta. Io l’ho saputo per caso, hanno fatto da sole, felici.
Il suo fratellino invece mercoledì mi ha detto:
–venerdì pranzo a scuola, devo portare prosciutto e maionese per l’ultimo giorno della supplente.
E io con la testa negli endecasillabi:
– bene, domani quando andiamo a prendere la nonna in stazione compriamo il prosciutto, anzi diciamolo anche alla nonna che ci aiuta a ricordarcelo, sai che io sono distratta in questi giorni.
Il prosciutto alla fine è arrivato da Milano. La nonna è anche andata a scuola a portargli la maionese che aveva dimenticato a casa. Il pranzo in classe pare fosse un banchetto, non è riuscito neanche ad assaggiare tutto e le femmine si scannavano per chi doveva fare le cr^epes! Però mamma, mi è dispiaciuto, ero l’unico che non aveva un regalo per la maestra!
La mia prima reazione, sentirmi in colpa, per i suoi fratelli mi ero sempre occupata del regalo alla maestra, non c’è stato Natale italiano senza regalo alla maestra, ma qui a nord pare non si usi, e io ho la testa nei settenari, e la maestra è stata meno di un mese. Mi ha fermata mia madre: magari la prossima volta, se ci tiene, si ricorda anche lui di pensare al regalo per la maestra.
Azione, rete, partita.
I regali si insegnano anche dimenticandosi di farli.