In questo paese dalle regole chiare non si danno compiti per il fine settimana. Almeno fino alle scuole superiori è proibito dare da studiare per il lunedì. Non si può neanche dire di aver studiato a casa, perché ciò creerebbe disparità tra chi può permettersi di farlo, magari con un aiuto e chi non ne ha la possibilità.
Sabato e domenica sono giorni da passare in famiglia e dedicare al ristoro di mente e corpo. O credo in molta parte della Confederazione, a lavori agricoli.
In compenso però durante la settimana ci sono sempre dei piccoli esercizi da fare.
La nostra maestra, che è precisa e organizzata, ogni venerdì assegna i compiti per tutta la settimana successiva, sempre gli stessi. Per il martedì la scheda di matematica, mercoledì francese, giovedì lettura, venerdì vocabolario e correzione del dettato, tutti i giorni cinque minuti di calcolo orale.
Io, contravvenendo ai regolamenti cantonali, cerco di liberarci di tutti gli esercizi entro la domenica sera, per tenerci i pomeriggi liberi o magari per leggere qualcosa in italiano e non perdere l’allenamento.
Fin’ora questo sistema ha funzionato piuttosto bene, ma aumentando la consapevolezza aumentano i segnali di ammutinamento e questa domenica siamo arrivati a un punto di rottura:
– io i compiti non li faccio! La maestra dice che sono per la settimana e non che sono da fare la domenica.
– è vero hai ragione, ma durante la settimana al pomeriggio sei stanco e hai più voglia di giocare fuori a calcio che di fare i compiti.
– il regolamento dice che non si fanno i compiti di sabato e domenica e non è che perché sono straniero che io li devo fare.
– è vero anche questo e hai ragione, ma magari siccome sei straniero hai bisogno di un piccolo aiuto e io oggi ho tutto il tempo per dartelo. Se però, visto che ormai sei così bravo, vuoi fare tutto da solo, ti puoi organizzare come preferisci. Io però non ho voglia di litigare tutti i pomeriggi.
– va bene, mi voglio allenare nel vocabulaire e voglio prendere sei nel dettato questa settimana [ i voti qui sono in sesti e lui già colleziona dei cinque che a me sembrano miracolosi, ma a lui non bastano]
Per il rotto della cuffia, facendo leva sullo spirito competitivo e ricorrendo alle subdole armi della seduzione ho salvato l’onore, ma solo per poco. E poi ci rimane comunque la Boite à calcule, cinque minuti di conticini al giorno…
Lunedì pomeriggio:
– Ciao mamma! Io vado fuori a giocare a calcio.
– Ehm tesoro per favore, prima guardiamo insieme l’agenda.
– Nooo! Ecco così appena tornato! Non è giusto!
– Amore mio, domenica non avevi tanta voglia di fare i compiti e io non sono sicura che abbia fatto tutto per domani.
– Io sì, ho fatto tutto. E tu non ti fidi di me!
– Ma no che mi fido. Mi sembra però di ricordare che tu dovessi fare cinque minuti di conticini. Poi hai tutto il tempo per giocare a pallone.
-Ecco tu insisti! E se insisti io non faccio le cose! Lo dice anche la Dichiarazione dei Diritti del Bambino che se tu insisti non è una bella vita!
– Orpolà la Dichiarazione dei Diritti del Bambino, addirittura. Beh se non sbaglio dice anche che io sono la tua mamma e ho il dovere di permetterti di studiare e di occuparmi della tua istruzione. Comunque non capisco perché stiamo discutendo da dieci minuti per un compito da cinque minuti. Non possiamo trovare un accordo con calma? Magari giochi un po’ a pallone e poi fai questi cinque minuti di calcoli?
– No! Perché io a scuola non ci voglio andare, è tutto orrendo, sono tutti antipatici, non mi piace niente e voglio tornare a Milano!
– Beh menomale che fra poco ci andiamo per una settimana.
– Non voglio andarci in vacanza, proprio non voglio stare in Svizzera è tutto orrendo, le vacanze sono spezzettate, non ho amici e non c’è niente che mi piace.
Respirando a fondo mi ripeto che meglio fuori che dentro, meglio che si sfoghi, lo abbraccio, accolgo le sue lacrime. Provo a suggerire che forse una o due cose della Svizzera le possiamo salvare, la sua squadra di calcio, – sono tutti antipatici e permalosi- il giardino con la porta – va bene, è l’unica cosa che salvo della Svizzera. Mi accontento e lo mando a giocare a pallone.
Dopo cinque minuti apre la portafinestra, mette dentro la testa e mi dice:
– Ah mamma, sai che devo fare anche io le prove cantonali come mia sorella?
Mi viene il sospetto che tutto quello sfogo fosse ansia da prestazione. Azzardo una domanda:
– Ah è per quello che sei così arrabbiato? Sei preoccupato?
– No! Non è che sono preoccupato, è che non mi piace niente. Non mi piace la casa.
– Urca neanche la casa? Almeno quella mi sembrava proprio bella, con il giardino..
– No è che l’abbiamo riempita di mobili che mi sembra tutta un’altra cosa e poi è piccola. Quel mobile lì non mi piace.
Vinta da tanta dialettica svicolo con una succulenta merenda.
Per fortuna viene l’ora della lezione di piano e mentre lo lascio giocare al Lego con il figlio della maestra, io torno a casa a studiare la Dichiarazione dei Diritti del Bambino…