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Eccoli che vanno nel nuovo ospedale, quello che avrebbero imparato a conoscere a memoria.
Sono preoccupati, ma anche fiduciosi.
Sono insieme. E la città finalmente si sta riempiendo, non sembra più che sia arrivata un’invasione aliena e abbia polverizzato tutti gli umani.
Stanno per incontrare la dottoressa K. che non uscirà più dalle lore vite.
Sanno che è bravissima. Lei sa che ha fatto nascere i tre bambini che adora, a cui ha fatto da babysitter dal primo giorno, e questo le basta per sentirsi in famiglia.
Peccato che la migliore equipe del Paese non riesca a raggiungere quel maledetto ferretto senza correre il rischio di rompere il sacco amniotico.
Sono in tre o forse quattro ad affannarsi intorno a lei a gambe all’aria sul lettino. La situazione è imbarazzante, ma quello che lei ricorda è l’ecografo superlativo, il migliore sulla piazza. Grazie a quella macchina riesce a vedere ogni dettaglio del suo bambino. Si muove, respira, nuota, il suo cuore batte. Non si dimenticherà mai più di lui. E sarà disposta a morire per salvarlo.
Ancora una volta purtroppo la decisione spetta a lei, e solo a lei.
Tentare l’operazione rischiando di rompere il sacco e avere un aborto immediato, o non toccare nulla e sperare di arrivare a fine gravidanza.
Si entrava in questioni talmente intime e delicate, ma anche universali e politiche, che nessun medico si azzardava a darle alcun consiglio.
Nessuno ha potuto dirle: Sei giovane, hai una vita davanti, corri questo rischio, se hai fortuna andrà tutto bene, se non ne hai ora ne avrai in futuro.
Nessuno ha osato prendersi la responsabilità di dirle: “ogni giorno che passa sarà più doloroso”
E lei comunque non avrebbe sentito ragioni. Ormai era una madre.
E una madre non è mai ragionevole quando si tratta della vita di suo figlio.
Così se ne tornano a casa come sono venuti.
Loro due, il loro bambino in arrivo, la spirale, e tre settimane per preparare un matrimonio.
…continua
