Perché la recensione di un libro femminista in un blog per genitori?
Soprattutto di un libro che tra pagina 122 e 127 dichiara più di dieci volte di odiare le mamme blogger?
Qui dove avevo promesso che non si sarebbe parlato di politica perché volevamo fosse uno spazio aperto a tutti?
Non mi sto rimangiando la parola e FQCP non ha cambiato faccia. Considero questo libro un’ottima lettura per genitori. Quindi mi spiego.
Primo, il femminismo è politica, ma non nel senso di quella roba lì che sta sbrodolando odio e fango su tutti i mezzi di comunicazione e neanche nel senso di quelli che erano una volta i partiti tradizionali. Il femminismo è impegno per il cambiamento, e non ditemi che entrambe le cose non fanno parte del mestiere dei genitori.
Secondo, la parola femminismo e femminista, mi provocano qualche disagio.
Fatti eminentemente miei e privati, ma non segreti, tipo ricordi di infanzia di me che mi addormento su una panca di legno in una stanza piena di fumo in cui si decideva come cambiare il mondo, ma io avrei voluto essere a casa come immaginavo le altre bambine a guardare Furia e Supergulp e poi a letto dopo Carosello. Oppure quella volta che in terza elementare ho avuto il coraggio di invitare a pranzo il bambino Gianluca che mi piaceva. La casa però era una comune di madri e figlie e da mangiare c’era non so cosa di sano, forse macrobiotico, improponibile per il bambino Gianluca dai riccioli biondi, che per essere gentile disse la fatidica frase: ” signora non si disturbi, per me va benissimo una bistecchina”. Ricordo come fosse ora l’imbarazzo mio e delle mie sorelle di sventura: aveva chiamato mia madre signora – non aveva trent’anni – e noi la bistecchina la vedevamo solo la domenica se andavamo dalla nonna.
Sono certa che quell’episodio sia stato determinante nelle mie successive scelte da genitrice.
Ma avendone ora pagato tutti i prezzi per quasi vent’anni penso che sia ora di fare la pace con la parola femminista.
Sia perché non ne ho trovata una migliore, sia perché Giulia Blasi mi ha fatto notare che se ci liberiamo della parola femminista, ci priviamo anche di tutta la sua storia di lotta per i diritti civili. E io in quella storia di lotta mi identifico parecchio anche se sono contenta che Giulia dica che facciamo parte di una terza ondata, un femminismo più inclusivo, che tiene conto di tutte le differenze e identità di genere. Per dirla con Faccio Quello Che Posso, un femminismo in cui si possa essere genitori in due, entrambi femministi.
Terzo, perché il femminismo è roba da genitori.
Io ho tre figli – chi mi legge da un po’ sa che in realtà sono quattro e che il fatto che il primo non sia qui è stato determinante nelle mie scelte almeno quanto l’episodio di Gianluca e la bistecchina- comunque io ho tre ragazzi.
Per la precisione sono madre di due maschi e una femmina. Ancora più per la precisione sono faticosamente genitrice di due adolescenti e di un bambino che si crede ragazzo.
Ora, uno degli impegni quotidiani di una genitrice che voglia crescere delle brave persone è quello di cercare di essere equa nell’educazione della propria prole, non creare disparità, a cominciare dalle questioni di genere.
Bene, alzi la mano chi ci riesce.
Con tutto l’impegno e la buona volontà, datemi una madre che nel profondo non senta un’inquietudine diversa quando a chiedere il permesso di uscire oltre la mezzanotte è il figlio maggiore alto un metro e ottantacinque o sua sorella di ventitré mesi più giovane una lunga cascata di capelli biondi e, a detta del fratello, la consapevolezza di una che vive nel paese degli unicorni.
Non è che non mi impegni, faccio molta attenzione, ma come faccio sbaglio.
Io lo sono stata, una ragazzina stranamente fiduciosa nel mondo, con gli occhi blu e lunghi capelli biondi.
L’ho pagata, molto cara, molto presto.
Potrei riempire un capitolo di #quellavoltache solo con tutti gli episodi di molestia sessuale di cui sono stata vittima, a partire dal mio maestro delle elementari a nove anni è stato solo un crescendo.
Volete dirmi che non dovrei farmi influenzare dalla mia storia nel crescere mia figlia? Non ci riesco.
Quello che sono riuscita a fare è permetterle di restare nel paese degli unicorni fino a che ne ha avuto voglia. Ho accettato di cambiare nazione per questo. Mia figlia ha potuto restare bambina fino a che il suo corpo non ha deciso che era ora di crescere. Suo fratello la prendeva in giro, io l’ho considerata una vittoria personale.
Ho combattuto per difenderela dal mondo. Ma non è giusto.
Se non mettiamo in guardia le nostre figlie dai pericoli del mondo, le mandiamo in giro disarmate.
Se siamo davvero sincere, ci troviamo a fare delle differenze coi loro fratelli.
E poi venitemi a dire che il femminismo non è una questione da genitori.
Detto ciò, nel libro di Giulia ci sono tutte le istruzioni per l’uso. Per rinfrescarci il pensiero, una bella manutenzione del sessismo implicito in molte delle nostre azioni, quello che non vorremmo mai piovesse addosso ai nostri figli, ma se non facciamo attenzione siamo noi i primi.
Riscriverei solo il capitolo sulle mamme blogger, vedo bene la viscida mano del patriarcato in una certa immagine della maternità, ma chi ci casca per me è una sorella in difficoltà. Ci sarebbe tutto il ragionamento sul riconoscimento del lavoro di cura, breadwinner vs caregiver, coscienza individuale vs coscienza di specie, ma quello è un altro libro.