Una settimana fa ero a Milano.
A Palazzo Marino, in Sala Alessi. Una cerimonia ufficiale con qualche spruzzata di emozione.
Il Comune di Milano ha intitolato il Centro Genitori Ancora a Irene Bernardini, che l’aveva fondato.
Nel mio caso un’inondazione, nel caso dei relatori parole e lacrime si dosavano a seconda del mestiere e del temperamento.
Tutti, a loro modo, hanno ricordato Irene .
Io l’ho ritrovata un po’ nelle parole degli altri, ma solo un poco.
L’ho ritrovata davvero nelle sue pagine, lette mirabilmente da Lella Costa, che di lacrime è generosa anche più di me.
E lì seduta nella sala con gli stucchi dorati, me la sono ritrovata accanto.
Dalla prima volta, quando mio padre mi ha accompagnata nel suo studio.
Ero una ragazzina, avevo chiesto aiuto altrove, ma lui era convinto che fosse un capriccio, perché con un padre perfetto come lui non potevo aver bisogno di nulla. Quindi aveva detto, Se devi parlare con uno psicologo, lo scelgo io, che sia il meglio,
e si era fatto consigliare. ( mi piace pensare che nello scegliere Irene, mia madre sia riuscita a dire la sua, ma non era facile con lui)
Il GeA non esisteva ancora, la Dottoressa Bernardini riceveva in un piccolo studio in via Bragadino. Ci ha aperto la porta con le braccia cariche di volumoni dell’opera omnia di Freud, ha sorriso dicendo:
– Scusate, mi stavo preparando all’incontro!
Davanti all’espressione incredula del mio solenne genitore, ha precisato.
– Sto scherzando! E poi io sono junghiana.
Io l’ho amata all’istante, e lei ha chiesto che fossimo lasciate sole.
Appena chiusa la porta alle sue spalle, mi ha detto:
– Qui ti hanno portata i tuoi genitori, ma io sono dalla tua parte. Quello che mi dici resta qui tra noi e decidiamo insieme come proseguire.
E così ha sugellato un patto più che trentennale, in cui davvero lei è stata dalla mia parte, sempre.
E lo ha fatto con professionalità e amicizia. Cancellando quando serviva i confini del setting professionale. Ma non perdendo mai una briciola di autorevolezza ai miei occhi.
Si trattasse di trovarmi lavoro a sedici anni, come babysitter nel campeggio greco dove andava in vacanza con la sua famiglia.
Oppure decenni dopo, di darmi consigli decisivi quando ho dovuto rimediare danni e debiti di quel padre ingombrante.
Mi ha insegnato l’ironia e l’abbraccio.
E a stare sulle mie gambe, che, come diceva, gli psicologi non servono!
Abbiamo parlato spesso di quel fantasma del divorzio, che abita sulla spalla di molti bambini cresciuti. E si ripresenta, sgradito commensale, alla tavola del loro matrimonio, seminando dubbi in ogni portata. Mi ha insegnato a tenere a bada il fantasma e di recente a trovare il coraggio di partire al seguito di mio marito, e tenere insieme la mia famiglia.
Da lei ho imparato la meraviglia di essere lì nel momento in cui un piccino tira il collo sulla porta della scuola e cercando un sguardo trova proprio il mio.
Essere dalla mia parte era un pezzetto del suo essere dalla parte dei bambini, sempre.
Anche dei miei.
Mi ha aiutata a correggere il tiro da genitore, ridendoci sempre un po’ su.
I nostri messaggi erano:
– Esco a cena a tu per tu per festeggiare gli undici anni del mio primogenito. Non so se dirgli che Babbo Natale non esiste o fargli il discorso delle api e dei fiori. Cosa dici?
– Assolutamente Babbo Natale!
E aveva sempre ragione lei, perché il poverino a Babbo Natale credeva ancora e ha accolto la rivelazione con le lacrime.
Settimana scorsa nella sala dorata, c’era il suo nipotino che sgranava gli occhi dalla carrozzina, non hanno fatto in tempo a incontrarsi, ma questa è una di quelle volte in cui mi piace pensare che da qualche parte lei ci guardi e sorrida con gli occhi.
Lea
Cara Alessandra, questo scritto è meraviglioso. Che bello essere ricordati così. Lea
Alessandra Spada
lea mi lusinghi!
Lidia
Ho frequentato il GEa nel 2000 ho ammirato tutto di quanto si faceva, ho ritrovato x merito di un trasloco un libro di Irene…bello sapere che quel posto dei conflitti ma anche della empatia…sia dedicato a lei
Dove ha sede ora???
Lidia Franconeri